INFORMAZIONE CULTURA E ACCESSIBILITÀ
INFORMARSI PER INFORMARE MEGLIO
TEATRO VITTORIA
TORINO, 22 SETTEMBRE 2017
Organizzato dall’Associazione Torino + Cultura Accessibile onlus
In collaborazione con
ANFFAS Piemonte e l’Associazione Oltre la Forma, Festival della TV e dei Nuovi Media.
Il convegno in partnership con l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte
Con il patrocinio
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Rai Responsabilità Sociale, Dipartimento di Culture Politica e Società UNITO, Città di Torino, Accessible Culture & Training, Progetto CINEMANCHIO
Media partner
La Repubblica
Programma e interventi
Introduzione
Daniela Trunfio (Presidente dell’Associazione Torino + Cultura Accessibile) – Solo saluti
Francesca Leon (Assessora alla Cultura della Città di Torino)
Giancarlo D’Errico (Consigliere ANFFAS Nazionale e Presidente ANFFAS Piemonte)
Silvio Magliano (Consiglio comunale dei Moderati, e della Cooperativa Vol.to)
Stefano Borgato, Direttore di Superando.it (Lettera inviata)
Stefano Pierpaoli (Associazione Consequenze, membro del Progetto Cinemanchìo)
“Consapevolezza e legittimazione nei processi di accessibilità”
Dario Scarpati (Responsabile accessibilità museale per ICOM Italia)
“I Musei per la cultura accessibile”
Miriam Mandosi (coordinatrice del gruppo di lavoro dei giovani professionisti museali di ICOM Italia)
“Mediazione, interpretazione e accessibilità nei luoghi della cultura: quando, come e chi”
Carlo Eugeni (Docente di sottotitolazione per non udenti (Università di Parma o Civica Scuola Interpreti e Traduttori “Altiero Spinelli” di Milano)
“La sottotitolazione per non udenti: vitale per alcuni, utile per tutti”
Pilar Orero: (Progetto Europeo Easy Reading)
“Accogliere l’accessibilità per un accesso democratico alla cultura”
Cristina Mussinelli (Segretario Generale Fondazione LIA – Libri Italiani Accessibili)
“I libri di tutti: innovazione e collaborazione per promuovere l’accessibilità”
Humberto Insolera: (European Disability Forum (EDF) Executive Committee)
“How e-accessibility benefit everyone?”
Raffaella Cocco ( Responsabile Accessibilità RAI)
“I broadcasters europei e la disabilità”
Andrea Del Principe (Centro Ricerche Rai)
Jacopo Venier (direttore di Libera TV)
“ Le barriere invisibili di Internet. La svolta necessaria per una vera accessibilità dei contenti e dell’informazione in rete”
Antonio Malafarina, giornalista freelance e blogger del
Corriere della Sera gli InVisibili
“La comunicazione, elemento inviolabile dell’accessibilità”
Atti del Convegno
Prima parte
Grazie di essere qui e ragionare insieme sul tema dell’accessibilità, in questo caso informazione, cultura e accessibilità. Ringrazio Daniela Trunfio, +Cultura Accessibile, e tutti coloro che hanno collaborato a questa giornata.
Io credo che la riflessione collettiva e lo scambio di esperienze sia uno dei passaggi fondamentali per lavorare sul tema dell’accessibilità.
L’accessibilità oggi non è garantita a tutti, è quasi un elemento a parte, l’accessibilità non rientra ancora nei processi creativi.
L’accessibilità universale credo sia il grande obiettivo che ci si può dare, andando avanti per passi successivi. Credo che sia un argomento, che non riguarda unicamente chi soffre di disabilità, che siano fisiche, cognitive o sensoriali. Credo che sia un problema più ampio che riguardi, anche l’attenzione a chi può avere anche difficoltà momentanee, o chi è più avanti con gli anni. Bisogna abituarsi a ragionare sulle esigenze delle persone nel loro insieme. E’ un percorso lungo che ha come necessità assoluta quella di capire a che punto siamo, capire quali sono le attività che sono state realizzate e messe in campo in questi anni.
A Torino ci sono state tantissime esperienze. La vera sfida è trasformare le singole esperienze in una progettazione inserita all’interno dell’attività culturale, all’interno della produzione culturale, nell’organizzazione delle istituzioni culturali.
E’ un po’ di anni, dal 2006, che ho incrociato questo tema in qualche modo anche nell’arco della mia attività professionale. Torino ha fatto tanti passi in avanti, ma bisogna fare un passo ulteriore, che è quello del considerare l’accessibilità una normalità e non un evento che accade una volta ogni tanto. Per fare questo, però, occorre uno sforzo collettivo, occorre uno sforzo da parte delle istituzioni, da parte degli organizzatori ed è indispensabile conoscersi, lavorare insieme e spingere tutti insieme per raggiungere questo obiettivo.
Non riguarda una parte piccola della popolazione, riguarda tutti i cittadini, questo è un impegno da portare avanti tutti insieme. Lavorare sulla consapevolezza, sul rapporto diretto, sull’ascolto delle difficoltà: è soprattutto da chi è in difficoltà che noi riceviamo anche le indicazioni per come risolverle. Quindi questo filo diretto con le associazioni, con chi cerca di metterle insieme per progettare, per fare sentire la voce dei diversi bisogni è fondamentale per crescere come comunità. Quindi io ringrazio tutti. Grazie di essere qui e buon lavoro.
Ringrazio tutti gli intervenuti, sia quelli che saranno relatori di comunicazione che voi che ci ascoltate. Vorrei soltanto illustrare due suggestioni. La prima nasce da chi ha organizzato il convegno, che è ANFFAS, la presento rapidamente: è un’associazione che si occupa di disabilità intellettive e relazionali da 60 anni e Torino + Cultura Accessibile. Riprendo un concetto che avevo già espresso all’atto della presentazione dell’Associazione Torino + Cultura Accessibile, perché, così come è scritto, già dà il senso di come deve essere: Torino più Cultura Accessibile, che è un termine classico riferito alle difficoltà.
E mi fa piacere che il primo atto a cui partecipiamo congiuntamente, che abbiamo organizzato congiuntamente, riguardi l’informazione, la cultura e l’accessibilità intesa anche come possibilità di fruire dell’informazione e della cultura, per riuscire a inquadrare correttamente quelle che sono le problematiche e quindi, come diceva l’Assessora, in qualche modo orientare le azioni per la soluzione.
La seconda suggestione che vorrei portarvi, e spero che in qualche modo si possa anche poi evincere dagli interventi che seguiranno, sono due parole d’ordine che abbiamo, che sono l’inclusione e l’autodeterminazione.
L’inclusione non è un meccanismo tecnico o meccanico. L’inclusione è un meccanismo culturale,
o è il frutto di una grande trasformazione del modo di pensare, del modo di cogliere le diversità all’interno dell’organizzazione sociale, oppure l’inclusione non si farà mai. L’inclusione è immergere tutte le diversità all’interno di una diversità complessiva per cui sparisce qualunque tipo di diversità.
Se è un meccanismo culturale, la prima cosa che bisogna fare è rendere accessibile la cultura. Occorre capire come si fa cultura, chi fa cultura, chi fa informazione, come la fa, chi la riferisce, quali sono gli strumenti che utilizza per fare sì che tutti possano avere la fruibilità della stessa e quindi poi renderla normale, pratica, in tutte le forme che ci sono: film, giornali, radio, web e quant’altro.
Si confonde spesso per esempio nei siti l’accessibilità tecnica, nel senso di alta definizione piuttosto che alto contrasto etc.. con la possibilità di fruire dei concetti: sono due cose diverse.
L’autodeterminazione perché l’inclusione per forza di cose, secondo noi, dovrà portare all’autodeterminazione delle persone con disabilità o con difficoltà.
Non ci fermeremo a questo evento, ma sarà il primo di una serie di iniziative volte al raggiungimento di questi obiettivi.
DT: Grazie Giancarlo. Volevo anche dire come è nato questo convegno. Quando noi abbiamo iniziato a lavorare nel 2013, con una serie di istituzioni culturali che si muovevano già da tempo nel mondo dell’accessibilità, abbiamo pensato che c’era un problema, cioè quello di comunicare le azioni che noi stavamo facendo a un mondo della comunicazione, parlo della carta stampata e dei giornalisti, che molte volte pensano alle soluzioni possibili per rendere accessibile la cultura come a delle situazioni un po’ marginali, un po’ relegate al terzo settore, un po’ da considerare cose per pochi. E invece insieme abbiamo pensato che bisognava che la consapevolezza del rendere accessibile la cultura fosse comunicata a chi fa comunicazione, perché la cultura accessibile è cultura. Quindi, quando si parla di cultura accessibile, noi stiamo facendo un’operazione di cultura, che va promossa esattamente come qualsiasi altra espressione culturale sulle pagine dedicate, con i giornalisti che si occupano di cultura, e da qui l’idea di fare questo convegno insieme all’Ordine dei Giornalisti. Ringrazio i giornalisti presenti e spero che in questa giornata di lavoro possano sentire cose molto interessanti e che possano in realtà deviare da una mentalità che non dovrebbe più esserci e che noi non vorremmo ci fosse mai più.
Oggi sono qui come Centro Servizio per il Volontariato, e ho il compito di sostenere e aiutare il mondo del volontariato, soprattutto quando affronta temi come questi, temi che oggettivamente fanno fare un salto alle nostre istituzioni, al nostro paese.
Con ANFFAS spesso si discute di lavoro e di all’accessibilità. In fondo quello che il volontariato ha portato nel nostro paese è sempre stato un passaggio in più. Il mondo del volontariato spesso ha cercato di diventare un’agenda di progresso e anche in questo mi fa piacere che Torino + Cultura Accessibile e ANFFAS e Oltre La Forma siano le tre realtà che hanno voluto parlare di questo tema.
Fin quando si parla di barriere architettoniche è facilissimo, perché un gradino si vede. Quando vai a vedere un film, quando c’è un altro prodotto al quale non riesci ad accedere perché più difficile, uno pensa: “già ti ho tolto i gradini, adesso mica puoi anche andare al cinema!”.
Una delle cose più belle capitata in questi anni è che piano piano il tema delle barriere architettoniche ha cambiato la sua forma, perché il problema che avevamo innanzitutto era abbattere le barriere mentali, la paura della diversità, la paura del fatto che ci siano persone che oltre al proprio lavoro e alla propria vita avevano delle passioni e queste passioni volevano poterle esercitare come tutti gli altri.
Per cui il Centro Servizi ha sempre sostenuto queste iniziative perché pensiamo che un tema come questo sia cultura in sé, non solo ma l’accessibilità della cultura è un modo diverso di fare cultura, rendere accessibile o meno la realtà e le produzioni culturali fa parte del progresso.
Una città accessibile lo è sia per le persone con disabilità ma è anche molto più comoda, per le persone anziane, le mamme con i bambini, e consente l’avvicinamento alla cultura del maggior numero di persone. Questo è il motivo per cui il Centro Servizi ha voluto esserci. Tra l’altro mi fa molto piacere che sia stato realizzato per il mondo dei giornalisti, perché spesso la responsabilità di scrivere di accessibilità e di scrivere del mondo della disabilità è una responsabilità enorme. E a volte, da attori del settore, ci rendiamo conto che viene travisato un pezzo di realtà, ma non per cattiveria, ma perché non si conoscono tutti gli elementi in gioco.
Quindi io sono veramente contento che l’Ordine oggi sia qui e che si possa ascoltare insieme quello che verrà detto. In ultimo si aprirà uno scenario nel prossimo anno di sicuro, perché il mondo del terzo settore è stato riformato con la legge 106, anche i Centri di Servizio cambieranno e visto che avranno la responsabilità di sostenere i volontari all’interno di qualsiasi forma associativa no profit, mi auguro che con ANFFAS e Torino + Cultura Accessibile si possano trovare altre forme di crescita e sviluppo, perché è veramente interessante poter cambiare pezzi della realtà quando i partner sono quelli che oggi sono qui con noi.
“Saluto tutti i partecipanti a questo importante appuntamento con un ringraziamento particolare a Daniela Trunfio, presidente di Torino + Cultura Accessibile, sia per l’invito che non ho purtroppo potuto onorare per motivi personali, sia per quanto di buono sta facendo insieme ad altre organizzazioni per migliorare la comunicazione sulla disabilità nel nostro paese, oltre che per rendere accessibili a tutti i vari prodotti culturali.
Rivolgendomi a una platea di operatori dell’informazione e della comunicazione, il mio messaggio vuole essere innanzitutto un ricordo e un omaggio a uno dei miei principali maestri, Franco Bomprezzi, che ci ha lasciato quasi tre anni fa. Franco è stato uno dei primi giornalisti a rotelle in Italia, come egli stesso si definiva, impegnato per tanti anni sul fronte anche della cronaca per testate del gruppo Finegil e poi Corriere della Sera, virando negli ultimi anni della sua vita soprattutto sui temi della disabilità. Bomprezzi è stato il mio direttore per molti anni, dapprima in testate di settore e dal 2004 in Superando.it il giornale web che curo a tutt’oggi; ma aveva collaborato anche con il Segretariato Rai elaborando intorno al 2000 una sorta di decalogo sulla disabilità che, purtroppo viene da dire, risulta pienamente attuale ancora oggi.
Ne vorrei citare i punti principali:
considerare nell’informazione la persona disabile come fine e non come mezzo;
considerare la disabilità come una situazione normale che può capitare a tutti nel corso dell’esistenza;
rispettare la diversità di ogni persona con disabilità non esistono regole standard né situazioni identiche;
scrivere o parlare di disabilità solo dopo aver verificato le notizie, attingendo possibilmente alla fonte più documentata e imparziale;
ricorrere al parere dei genitori o dei familiari solo quando la persona con disabilità non è, dichiaratamente ed evidentemente, in grado di argomentare in modo autonomo con i mezzi anche tecnologici a sua disposizione;
avvicinare e consultare regolarmente nell’ambito del lavoro informativo le associazioni, le istituzioni e le fonti in grado di fornire notizie certe e documentate sulla disabilità e sulle sue problematiche;
considerare le persone con disabilità anche come possibile soggetto di informazione e non solo come oggetto di comunicazione;
e, da ultimo, forse il passaggio culturalmente più importante, eliminare dal linguaggio giornalistico e radiotelevisivo locuzioni stereotipate, luoghi comuni, affermazioni pietistiche, generalizzazioni e banalizzazioni di routine;
concepire titoli che riescano a essere efficaci e interessanti, senza cadere nella volgarità o nell’ignoranza e rispettando il contenuto della notizia perché possa essere il modo migliore per rendere finalmente concreto sul piano dell’informazione e della comunicazione quanto è stato fissato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità dal 2006: la prima convenzione delle Nazioni Unite del nuovo millennio, che dal 2009 è anche legge dello stato italiano, ma che tante difficoltà trova ancora a essere applicata. Buona giornata e buon lavoro a tutti.
Stefano Borgato”.
“Consapevolezza e legittimazione nei processi di accessibilità”
Come spesso mi accade, mi preparo delle cose da dire, una scaletta, poi succede qualcosa e inserisco un elemento diverso. Mentre venivo qui ho visto un televisore in una vetrina e mi sono ricordato di 15 anni fa, quando stavo scrivendo un romanzo-verità sulla vicenda umana di una donna che era stata 15 anni nel carcere speciale, condannata all’ergastolo più 30 anni nel primo processo Moro, poi derubricato in un secondo momento, e parlando della detenzione, sapete, molte volte la gente dice “hanno anche la televisione in carcere, nelle celle”. Questa immagine venne fuori parlando con lei al tempo, e lei la definì “la cella nella cella”.
E parlando di accessibilità di informazione, di comunicazione, questa suggestione credo che sia utile, perché la TV è stata veramente il canale d’accesso per eccellenza negli anni ‘50-‘60-‘70, fornendo a milioni di italiani, a generazioni intere, informazione, elementi di conoscenza e di aggiornamento e soprattutto di accesso alla lingua italiana attraverso un canale impareggiabile. Negli anni ‘80 si è trasformata, è diventata strumento di comunicazione di modelli e, nella maggior parte dei casi, questi modelli sono andati a ledere, a colpire profondamente un sistema di valori e di riferimenti su cui noi stessi avevamo costruito la nostra storia, e ha aperto il fianco a quello che sarebbe avvenuto negli anni successivi all’avvento di internet, quindi a una velocizzazione nella capacità di avere informazioni, di essere aggiornato e di conoscere; velocizzazione che probabilmente non eravamo pronti ad assorbire, anche perché era venuto meno un sistema di valori e di riferimenti.
Comincia così nell’era tecnologica l’era per eccellenza dell’accesso, perché la rete, la velocità con cui noi abbiamo accesso a queste informazioni ha trasformato profondamente la nostra vita e ha finito con il privarci di esperienza. Io porto sempre l’esempio del tom-tom, del localizzatore, di google map, che ci hanno tolto l’esperienza di poterci perdere, che al tempo stesso è anche la possibilità di poterci ritrovare e questo, in un percorso culturale, credo che sia un valore fondamentale da tenere presente.
Abbiamo nominato la parola accesso, e anche la parola esperienza, quindi due fattori fondamentali nel percorso culturale di ciascuno di noi. Il terzo è quello della condivisione, che è l’altro elemento molto utilizzato con una rapidità sconcertante, nei social in particolare, ma che ha svuotato di significato la condivisione stessa, perché la condivisione con un “clic” è un gesto che diventa automatico, freddo e non esprime il valore della condivisione, fattore fondante di un percorso culturale.
Quando noi parliamo di accesso, di accessibilità, a me viene da pensare a una porta che si apre e questa porta conduce a un itinerario di esperienze e di condivisioni che vanno realizzate su un piano esistenziale vero, utile alla collettività, sentito all’interno delle comunità in cui viviamo. Ed è quello che oggi manca, perché il prodotto culturale è diventato più che mai prodotto e basta. Ci siamo fermati alla vendita degli eventi, dell’appuntamento, del film, del teatro, e ci siamo totalmente allontanati da quello che invece la cultura deve essere. La cultura non può e non deve essere un prodotto. La cultura è un processo. E l’accesso è il primo passaggio e comunque un passaggio parte fondante di questo processo.
Perciò noi operatori dobbiamo sia sul piano associativo, sul piano della progettazione dell’iniziativa, che sul piano dell’informazione e della comunicazione, assumerci la responsabilità di riportare l’accesso nella dimensione del percorso, del grande processo collettivo condiviso e di quella grande esperienza vissuta insieme che è la cultura, perché questo e non altro porta alla consapevolizzazione da parte di coloro che fruiscono del contenuto culturale di quello che stanno vivendo, di quello che stanno condividendo e dello strumento che hanno in mano per poter essere sempre più protagonisti nella società, diventare cittadini attivi, presenti. Essere in una sala cinematografica non vuole dire guardare un film. Essere in una sala cinematografica vuole dire essere in un momento della comunità nella quale succede qualcosa condiviso con altri rispetto a un’esperienza che poi andrà avanti. La conoscenza, l’informazione, la possibilità di interpretazione che ci dà la visione di un film è un fattore che noi dovremo applicare nell’esperienza successiva.
Perciò il consapevolizzare il pubblico in questo processo è l’elemento fondamentale che non riguarda però la disabilità, riguarda tutta la cittadinanza, perché, non so se qualcuno la prenderà come una battuta provocatoria, ma la disabilità cognitiva nel nostro paese, ma non solo, (parlo dell’Italia perché qui stiamo), è molto diffusa. C’è una profonda incapacità interpretativa dei nostri tempi, delle dinamiche sociali in atto. Un’incapacità di pre-vedere. E quindi anche un’incapacità di rappresentazione della realtà. Attraverso un’accessibilità ampia, generalizzata, ma con degli elementi di profondità significante, noi possiamo recuperare terreno da questo punto di vista, soprattutto lavorando sulle future generazioni, perché abbiamo bisogno di ottenere quella legittimazione che non ci viene dalle istituzioni.
E’ chiaro che avere le istituzioni vicine, presenti, attente a queste proposte che nascono dalle iniziative che noi o altri promuoviamo è importante, perché l’istituzione è un riferimento fondamentale. Ma non sta nel patrocinio la legittimazione di cui abbiamo bisogno. Da parte delle associazioni ci può essere una legittimazione maggiore, perché lavorano sul campo, lavorano a stretto contatto con categorie di persone. La legittimazione fondamentale, quella a cui non possiamo assolutamente rinunciare, è la legittimazione individuale dei fruitori, attraverso la conoscenza e attraverso il protagonismo dell’esperienza culturale. Questa è la legittimazione che ci interessa, perché è la legittimazione che da livello individuale si trasforma, si porta, si traduce in coscienza collettiva, consapevolezza collettiva, esperienza condivisa. Ed è questo di cui c’è bisogno in questo paese, è questo di cui c’è bisogno in un’epoca in cui l’esperienza è stata messa da parte a favore di quell’accesso, di quell’accessibilità immediata, semplice, di quella condivisione scontata che avviene con un “clic”, con un “mi piace”, legittimo. Non è una posizione ideologica contro i social o contro l’utilizzo di internet, ma deve nascere da parte nostra, da parte di tutti, da parte dell’informazione soprattutto, la capacità di creare un’alternativa forte e una prospettiva esperienziale e culturale che abbia un percorso lungo e incisivo all’interno della società.
Chiudo raccontando un piccolo aneddoto. Noi stavamo facendo l’ultimo film con Gil Rossellini, il figlio più giovane di Roberto Rossellini, era gravemente malato, paraplegico e io gli feci compagnia, perché non aveva il suo infermiere quella notte, non era stato bene e sarebbe rimasto solo a casa. Gli dissi: “dormi, poi durante la notte vengo a fare le medicazioni”. Quando andai nell’altra stanza lui mi chiamò e mi disse: “Stefano, mettimi la sedia a rotelle vicino al letto in questo verso. Perché se stanotte c’è un incendio e tu non riesci a uscire dalla tua stanza. muori e io devo scappare, devo avere la sedia a rotelle pronta e messa già nella giusta posizione”.
Gli dissi: “Gil, se stanotte c’è un incendio, io rimango dentro la stanza e muoio e tu riesci a salvarti, non andiamo sulla pagina della cronaca, finiamo sulla prima pagina delle barzellette”.
Al di là della battuta era il diritto all’autonomia, lo strumento che ti permette di essere indipendente, autonomo e di costruire una grande prospettiva. Questo deve essere la proposta culturale che nasce da queste riflessioni.
“I Musei per la cultura accessibile”
Abbiamo un senso se al numero delle persone che entrano in un museo, che è la preoccupazione principe della maggior parte dei nostri direttori e curatori, sostituiamo il perché le persone debbano entrare in un museo.
E’ importante il numero, per carità, ma una persona che viene per fare una passeggiata e uscirne e non ricordare neanche il motivo per cui ha approcciato questa porta, non dà il senso di partecipazione, di inclusione, non dà il senso di godimento. Ho messo la definizione dell’ ICOM, di quello che è un museo e sottolineando in rosso quelle che sono secondo me le parole-chiave. Il museo è un’istituzione permanente al servizio della società e del suo sviluppo, al servizio della società: non è la società che è servizio del museo.
Il museo deve comunicare, deve essere utilizzato a fini di educazione, studio e divertimento (divertimento in senso più lato, di godimento in senso più ampio del termine stesso).
Per poter provare a godere di questo museo è necessario innanzitutto superare intanto la barriera più difficile, che è quella della porta, la soglia è la prima delle nostre barriere, non solo architettoniche, ma anche e soprattutto ideali e mentali. Io entro in un museo e perché, e di conseguenza per me che faccio musei deve essere un discorso al contrario: tu vieni al museo perché, devo dare un senso a quello che stiamo facendo, non posso pensare che io racconto la storia e tu sei là; ho bisogno di avere un interscambio.
Oggi siamo molto legati in questa giornata ai temi della comunicazione. E’ importante scambiare, perché la condivisione non è un clic, la condivisione è un essere arrabbiati e discutere. Il museo non è una pagina facebook, è una piazza dove ognuno di noi ha diritto di raccontare la propria storia, il proprio racconto e quindi ha bisogno e necessità di avere gli strumenti di racconto.
L’inclusione, per esempio, passa, deve passare attraverso la didascalia di un oggetto, sempre ammesso che ancora serva una didascalia. Se io descrivo questo oggetto con una parola in greco, io archeologo posso capirlo. Ma sarà in difficoltà un ingegnere nucleare che ha una disabilità cognitiva, o chi non ha fatto il liceo classico, o chi appartiene a una fascia medio-bassa della popolazione.
Allora a chi mi rivolgo quando apro la porta del mio museo? Io devo rivolgermi all’altro, chiunque esso sia. Io non parlo di disabilità, di fruizione, a me interessa che quello che faccio sia letto e leggibile da ogni persona che possa entrare e mi venga a raccontare la sua storia, perché il museo non è un mondo statico, è un mondo dove le storie si raccontano, si ascoltano, si imparano, si condividono e si rielaborano.
Se noi scriviamo un apparato espositivo legandolo soltanto al racconto del curatore, del geologo, dell’architetto, o dello storico dell’arte, non abbiamo fatto un museo, abbiamo fatto una cattedrale nel deserto, che non serve più a niente.
Io preferisco al Louvre il museo di Torre Pellice. Ieri ero lì, è un museo piccolo, delizioso, che ti cattura e ci sono stato tanto tempo dentro a scherzare, a parlare, discutere; tanto tempo quanto al Louvre ma sono tre stanze, eppure ho imparato delle cose, perché ho scambiato. Questo è l’unico senso che oggi il museo può avere: inserire un insieme di racconti. Mi piace parlare di musei dentro un teatro ed è perché il museo è anche un teatro, un teatro di esperienze.
Tanti sono i modi di raccontare, questo è uno dei tanti progetti su cui ho lavorato con la collega che parlerà dopo di me. E’ bello sapere chi racconta: la ragazza che vedete oggi è l’unica guida LIS autorizzata a Roma, era all’inizio della sua esperienza lavorativa e di solito era lei che traduceva in LIS le visite guidate. Noi abbiamo fatto il contrario, le abbiamo detto: “falla tu e qualcuno te la traduce in italiano” era un modo per provare a scardinare di fronte agli occhi della Sovrintendenza una barriera. Un racconto non è fatto solo di parole, è fatto di emozioni.
Trovare un frammento di un vaso di 2000 anni fa, o un pezzettino di terra gialla in un battuto, in un terreno dove non dovrebbe esserci, per un archeologo è passare la giornata con le fantasie, i giochi e le emozioni, ma come raccontarlo? Un’immagine del genere a mio avviso racconta l’emozione meglio di tutte le cose che io riesco a raccontare. Questa foto era stata proiettata in una delle riunioni dell’archeologia laziale che è uno dei momenti santuario tempio dell’archeologia ed era esattamente sopra la testa di uno dei decani: era il contrasto tra gli interventi in archeologhese stretto, che è difficile, e questa immagine che secondo me ha spiegato quella giornata.
Il racconto si può fare per immagini. Qui vedete due piante: la prima è assolutamente corretta da un punto di vista scientifico, immagino che tutti possiate leggere con facilità un quadro (era soltanto una provocazione), è un rilievo archeologico, ma se metto quello in un museo, ma chi può capirlo? Solo chi ha fatto disegno, se no non è comprensibile. L’altra è la spiegazione dell’acquedotto che arriva dal lago di Bracciano fino al Gianicolo a Roma, che secondo me è chiarissimo, fatto in un laboratorio con dei ragazzi con disabilità cognitivo-comportamentale, che mi hanno spiegato cosa era l’acquedotto che noi vedevamo passando per Villa Pamphili, una zona di Roma, e l’hanno spiegato così, e si capisce di più. Le immagini possono essere lette anche ovviamente con le mani questa è una pianta. Perché ho messo questi esempi? Non sono a caso.
Questa è una mappa a rilievo con tanto di braille assolutamente corretta, ma con una descrizione, non so se si riesce a leggere, fatta da un ragazzo che suo malgrado è ospite del carcere minorile di Palermo, che mi ha raccontato il Castello a Mare con la sua esperienza. Era un po’ che lavoravamo insieme, ho imparato un po’ di siciliano. Era un racconto che ha cambiato l’aspetto della visione di quel monumento, un monumento meraviglioso, poco visitato, molto vissuto.
La persona legge, interpreta con le mani, con il naso, con le orecchie. Questa era una mostra fatta in Area Sabina e il biglietto d’ingresso era corredato di pane e olio. La Sabina è famosa per l’olio, il pane è buono. Abbiamo costruito un rapporto con le persone attraverso pane e olio, e per quelli che non hanno ipertensione anche un po’ di sale. Il museo è al servizio della società quindi non può essere visto al contrario, deve essere un luogo aperto.
Ho inserito questo quadro, perché è anche questo una provocazione. Nel Palazzo Ducale di Mantova ho proposto di fare le finali del campionato di biliardo italiano a cinque birilli, perché? perché va su Eurosport, perché il biliardo qualcuno lo vede, visto che le trasmissioni sono tante, mentre il Palazzo Ducale lo vedono in molti di meno. Se facciamo passare l’informazione attraverso canali che non sono quelli classici e normali, farà bene al biliardo, ma anche al Palazzo Ducale e al museo. Farà bene anche a noi che cominciamo ad aprire quegli spazi in maniera assolutamente diversa e più fruibile, non dalla persona con disabilità, ma dalla persona, punto.
Qui avevo messo una serie di slide che lascio, sono solo divertenti per vedere come viene utilizzata la segnaletica.
Voglio passare direttamente all’ultima immagine. E’ l’immagine con cui chiudo sempre i miei interventi, perché in una fase di discussione chiedo sempre che cosa vedono e mi raccontano che vedono una persona down, tre persone, una si riconosce down, le altre che sono sdraiate, no. Cosa vedo io dopo avere fatto una esperienza di lavoro con questa ragazza e questi ragazzi? Vedo una ragazza slovena con difficoltà a parlare, ma tanto anche se parlava io lo sloveno non l’avrei capito. E’ una ragazza con cui abbiamo lavorato con quel gruppo di persone che sono sdraiate lì in uno stabilimento termale, sono loro con quel modo di essere divertenti con il dito puntato. Mi hanno insegnato che dentro le terme i romani facevano il bagno, si sdraiavano e si divertivano, ecco qual è il mio concetto di museo e di esposizione.
DT: grazie a Dario Scarpati. Credo che questa visione sia un bello stimolo per le persone che sono qui presenti e che governano, o partecipano alla governance, di alcuni musei torinesi. Credo che sia importante sentire l’intervento successivo di Miriam Mandosi, che ci parlerà dell’esigenza di ripensare anche alle professionalità museali.
“Mediazione, interpretazione e accessibilità nei luoghi della cultura: quando, come e chi”
Anch’io sono una museologa, quindi ho un taglio molto focalizzato sui musei, ma quello di cui vi parlo in realtà riguarda i luoghi della cultura in generale, non solo i musei. Parlo e analizzo soprattutto chi si deve occupare di accessibilità nei luoghi della cultura, conta anche l’uso giusto di determinate parole per questo parlo di mediazione e interpretazione e non parlo di didattica. Perché la didattica vuole dire avere qualcuno in cattedra che spiega qualcosa a dei contenitori un po’ vuoti, che recepiscono quello che io gli sto dicendo. Già il passaggio da didattica a educazione è stato un bel passaggio, ma oggi finalmente i musei parlano di interpretazione e questa è veramente una svolta. Ciò vuole dire che le persone che abbiamo davanti con cui ci relazioniamo, sono persone che, come è stato detto, arrivano con un insieme di conoscenze, di esperienze che si relazionano con quello che trovano all’interno del patrimonio culturale o nel confronto con esso (il patrimonio culturale ovviamente non è solo l’insieme delle opere d’arte all’interno dei musei. Il patrimonio culturale è anche quello naturale, è quindi ovvio che per i pubblici che ho davanti, il concetto di accessibilità è pieno, è per tutti, e devo fare in modo che tutti, anche in base alla cultura di provenienza, riescano a portare qualcosa da questo scambio con il patrimonio culturale. In questa slide ho riportato la Convenzione di Faro, di cui il Senato sta ora discutendo, sperando che l’Italia finalmente ratifichi questa convenzione che introduce due elementi importantissimi: uno è il diritto all’eredità culturale e l’altro è l’importanza della comunità di eredità.
Il patrimonio culturale esiste solo se ci sono delle persone che lo individuano e capiscono che ha un valore, e quindi lo conservano, e quindi lo portano avanti per le generazioni future. Perché bisogna costruire, dice la Convenzione di Faro, una società pacifica e democratica, che si sviluppa in modo sostenibile quindi, accipicchia, parlare di accessibilità ci mette addosso in realtà un grande peso, un grande compito.
Questi disegni sono di un artista Dan Pervioski, e parlano di museo, ma vanno bene per tutti. Questo è quello che dovrebbe accadere; entro nel museo, queste persone non si stanno suicidando ma in realtà volano, volano perché riescono ad avere degli incontri, a dare spazio veramente alla propria emotività, a ricollocare quel patrimonio all’interno del proprio vissuto, della propria storia, della propria cultura. Quindi veramente un accesso pieno in cui io posso relazionarmi con quello che ho di fronte. Come accade questo? Accade se mi metto in ascolto, attivo le mio orecchie (qui è sempre riferito al museo). Però attivare le orecchie vuole dire ascoltare attivamente, quindi confrontarmi, imparare, coinvolgere, non mettermi mai dalla parte di chi già sa, ma costruire insieme e quindi dire che la forza dei musei siamo noi, noi tutti, noi che fruiamo del patrimonio e noi che ci lavoriamo.
Noi che ci lavoriamo, e qui vengo alla parte forse più noiosa, ma che più mi tocca da vicino, abbiamo questo grande problema del “ma noi che ci lavoriamo, chi siamo?” Perché purtroppo chi si occupa di servizi educativi o di mediazione, magari possiamo dire di servizi di interpretazione all’interno dei musei, non ha ancora un ruolo riconosciuto e per questo ICOM Italia di cui già vi ha parlato Dario, si sta occupando di riflettere sul ruolo dei professionisti museali e sul riconoscimento di queste figure professionali, soprattutto affrontando delle problematiche di relazione con quella che è un’idea di museo-tempio. Non è facile, ma è necessario farlo insieme, capire che quando si parla di accessibilità non lo si fa dopo che il direttore o il curatore ha deciso cosa esporre o come, ma si fa insieme. Non si realizza un’esposizione, non si realizza una mostra e dopo si dice “oh, accipicchia, ma a chi dovevo parlare? che cosa dovevo dirgli? che cosa doveva capire?”. Sono passaggi un po’ complicati, perché questa visione un po’ gerarchica che ancora c’è, purtroppo non solo nei luoghi della cultura ma anche dell’università stessa, ci porta a mettere sempre dopo quello che è il motivo principale.
Vogliamo costruire un patrimonio che serva a creare una società democratica? Cominciamo subito a capire che dobbiamo farlo dall’inizio insieme, tutti insieme.
“La sottotitolazione per non udenti: vitale per alcuni, utile per tutti”
Cercherò di rispondere alle domande più evidenti, ma che richiedono risposte approfondite riguardo la sottotitolazione per non udenti: che cosa sono, per chi sono, chi li usa, come sono, come dovrebbero essere e poi, se ce la facciamo, una parte di interazione che era quella che Daniela chiedeva all’inizio del convegno.
Intanto che cosa sono? non sono l’interpretazione in lingua dei segni. A me spesso chiedono: che fai? faccio il sottotitolatore per i non udenti; ah, allora conosci la LIS? dico: no; e come fai? con le dita e la tastiera.
Cercherò di rispondere alle domande più evidenti, ma che richiedono risposte approfondite riguardo la sottotitolazione per non udenti: che cosa sono, per chi sono, chi li usa, come sono, come dovrebbero essere e poi, se ce la facciamo, una parte di interazione che era quella che daniela chiedeva all’inizio del convegno.
Intanto che cosa sono? non sono l’interpretazione in lingua dei segni. A me spesso chiedono: che fai? faccio il sottotitolatore per i non udenti; ah, allora conosci la LIS? dico: no; e come fai? con le dita e la tastiera. I sottotitoli sono più o meno questo: in Italia sono perlopiù due righe di testo, in Rai sono di 36 caratteri, altre piattaforme permettono più caratteri per riga; sono poste nella parte inferiore dello schermo, per questo si chiamano sottotitoli, altrimenti si chiamerebbero sovratitoli come quelli dell’opera (altri li chiamano laterotitoli, quando compaiono al lato dello schermo); e introducono il contenuto del prodotto audiovisivo, in particolare i dialoghi, la parte paraverbale, l’emozione, l’emotività, e quella non verbale, come appunto qualcuno che bussa alla porta etc..
La componente verbale per intenderci appunto sono i dialoghi. La componente paraverbale è la maniera con la quale una voce viene pronunciata dagli attori, e la componente non verbale, sono elementi che non riguardano il parlato.
Per chi sono? L’espressione sottotitoli per non udenti parla abbastanza chiaro. Chi sono i non udenti? Sono persone che si distinguono per cultura, perché all’interno della categoria non udenti rientrano i sordi non segnanti, cioè quelli che utilizzano la lingua dei segni per comunicare, i sordi oralisti, quelli che non parlano la lingua dei segni e che quindi leggono i sottotitoli. Ci sono poi le persone che come mia nonna perdono l’udito con l’età e che chiaramente, come capite, hanno aspettative diverse rispetto a queste altre tipologie di persone con gradi diversi di sordità.
Poi la sordità dipende anche dal livello perché uno potrebbe essere sordo, ma continuare a sentire molte cose che accadono intorno a lui o lei. Dipende dall’insorgenza: quando una persona è diventata sorda, una persona che è diventata sorda dopo aver acquisito la capacità di parlare, chiaramente è più agevolata dal punto di vista comunicativo rispetto a quelle persone che invece sono nate sorde, e che quindi devono imparare tutto il processo in una maniera che non è quella naturale. Dipende… bambini sordi, adulti sordi, anziani sordi: non esiste una categoria.
Poi ci sono altre caratteristiche come appunto la tipologia testuale che si va a sottotitolare, il livello di alfabetizzazione della persona, la sua scolarizzazione, e questo ci fa capire che non esistono i non udenti come categoria di lettori, perché le persone con sordità hanno come tutti noi diversi livelli di capacità di lettura e di comprensione etc..
E quindi come si fa a fare dei sottotitoli che sono per mille tipi di lettori? Si fa. Poi vediamo come.
Mi piacerebbe aprire una parentesi e dire che, secondo uno studio fatto da Offcom, di cui parlava prima Federico Spoletti, in Inghilterra i sottotitoli per non udenti sono utilizzati solo per il 20% dai non udenti, quindi appunto sordi segnanti, presbiacusici etc.. perché il restante 80% è composto dagli udenti, cioè da persone che sentono, ma che sono per esempio straniere. Per esempio in Germania i sottotitoli per non udenti sono utilizzati da molto tempo per integrare gli immigrati turchi.
Poi ovviamente sono serviti ad altri tipi di immigrati, ma già dalla prima immigrazione dei turchi venivano usati i sottotitoli per non udenti per insegnare loro a scrivere e a parlare, una sorta di maestro Manzi sotto forma di sottotitoli.
Ma i sottotitoli sono anche utili agli studenti, perché se voi vedete un film in inglese, e il vostro livello di inglese non è così alto da poter cogliere tutte le sfumature di inglese, il sottotitolo per non udenti vi permette di capire di più.
Lo stesso vale per i turisti che si trovano in Italia e vorrebbero approfondire o capire di più l’italiano.
Negli Stati Uniti poi, molte sono le persone che utilizzano i sottotitoli per non udenti perché figli o nipoti di italiani, e quindi per non perdere la capacità di parlare e scrivere l’italiano utilizzano i sottotitoli per non udenti.
E poi ci sono anche i cittadini, non solo quindi gli stranieri, che utilizzano i sottotitoli per non udenti. Per esempio le persone che lavorano in posti rumorosi che hanno bisogno di sottotitoli, se vogliono capire quello che viene detto. Ma ci sono anche i parenti dei sordi che continuamente utilizzano i sottotitoli per non udenti, perché hanno in casa una persona che li utilizza.
I ricercatori, che sono la minima parte, ma anche loro utilizzano i sottotitoli per non udenti, e infine le persone curiose.
Quindi tutto questo fa sì che i sottotitoli per non udenti, cominciate a capirlo da questa slide, è vitale, necessario certamente per i non udenti, ma molto utile e utilizzato anche per chi è udente, quindi non ha il problema di non sentire.
Come sono i sottotitoli? Riprendendo un po’ una metafora che si utilizzava nella traduzione in cui si diceva che le traduzioni sono belle o fedeli, non possono essere belle e fedeli. Questo vale anche per il sottotitolo: o è bello o è fedele.
Bello significa leggibile, significa che è fatto bene, che è sincronizzato sulle immagini, che rimane per un tempo di lettura tale che si possa leggere tutto e godere anche delle immagini, la sintassi è lineare quindi si capisce subito quello che viene detto, e viene selezionato soltanto quello che è pertinente e necessario.
Questo è un esempio di sottotitolazione bella tratta dalla Rai. (video)
Fedeli significa completi. Come avete visto un po’ veniva riformulato il testo, alcune parole venivano omesse. Fedeli significa che vengono sincronizzati sul parlato, entrano appena iniziano a parlare ed escono quando finiscono di parlare e sono parola per parola.
Come vedremo il risultato è un po’ diverso. (video)
Come avete visto, sono più veloci, alcuni sono difficilmente leggibili. Nei film dove i dialoghi sono studiati in anticipo, chiaramente non c’è quella sporcizia che c’è nell’oralità. Ma immaginatevi, che so, un’intervista a Di Pietro, indipendentemente dalle posizioni politiche, non è certamente l’oratore più chiaro della terra, e sottotitolare parola per parola Di Pietro significa rendere un servizio che è fedele, ma non è tanto bello. E quindi sarebbe bello che si potessero offrire dei sottotitoli che fossero sia belli, sia fedeli.
E qui mi riaggancio a quello che diceva Vera Arma prima e Daniela Trunfio poco prima di me: sarebbe auspicabile che si arrivasse alla produzione di sottotitoli universali. Universali perché richiamano il concetto della progettazione universale. La progettazione universale è famosissima nell’architettura, è quella che crea le rampe per salire una scalinata, è quella che crea le porte della metropolitana a livello del pavimento e larghe per fare entrare persone in sedia a rotelle, e crea appunto percorsi pododattili per i ciechi. Sono strumenti indispensabili per le categorie di persone che ho nominato, però sono molto utili anche per le persone che non hanno quelle disabilità, perché oggi in particolare viviamo in una società dove l’uomo e la donna sono sempre più chini sullo smartphone mentre vivono nella società, allora un percorso podotattile che gli dice “sei arrivato alla fine del marciapiede” è utile, anzi vitale, anche per le persone che non sono non vedenti; le porte della metropolitana anch’esse permettono di fare accedere più persone possibile e le scalinate così concepite anche sono più gradevoli da vedere.
Quindi nella stessa scia di queste tipologie di abbattimento di barriere architettoniche visibili, e mi riaggancio a quello che diceva prima Stefano Pierpaoli sulla visibilità delle barriere, sarebbe utile potere arrivare a una progettazione universale dei sottotitoli, in maniera che fossero belli e fedeli.
Tecnicamente è abbastanza facile, perché adesso con la televisione che integra internet e programmi televisivi è molto facile potere utilizzare diverse piste, selezionabili con il telecomando, per potere avere per esempio in una pista i sottotitoli automatici, che sono brutti, oppure i sottotitoli automatici corretti da un operatore, quindi con dialoghi automaticamente sincronizzati, e con un testo che non è automatico ma editato. Oppure una pista in cui si possono vedere i cartelli che spiegano la componente extraverbale e paraverbale, per un non udente che è interessato a vederli; e in un’altra pista ancora i sottotitoli manuali editati, che sono quelli belli fatti oggi per esempio dalla Rai. Tutto questo è semplice, non è neanche costoso, perché per avere questo tipo di servizio basta soltanto appunto avere un editor. Non dico che l’editor non faccia un lavoro non importante, ma che non è una lavorazione che richiede un investimento ingente. Poi ci sono gli sconti come abbiamo prima sentito a livello d’imposta e quindi è assolutamente facile poterlo fare.
Atti del Convegno
Seconda parte
“Accogliere l’accessibilità per un accesso democratico alla cultura” |
Questo convegno non è soltanto interessante, ma è anche molto importante perché sottolinea che l’accessibilità deve essere parte di tutto quello che facciamo. La mia presentazione sarà basata su tre punti: lo stato dell’arte dell’accessibilità, gli orizzonti futuri e un servizio che è stato menzionato questa mattina, vale a dire la facilità di leggere, la lettura semplificata.
Questo sarà un servizio di accessibilità che possiamo, anzi dovremmo includere nella gamma dei servizi offerti.
Una questione di cui si è parlato molto questa mattina è l’inclusione. La diversità però è troppo grande, e quindi dovremo ridurre sempre di più per poter parlare di inclusione, che però non significa accessibilità. Inclusione significa includere tutti quanti, ma non si può fare, perché ci saranno sempre delle persone che non saranno incluse.
Quindi in queste situazioni le persone si arrabbiano e quindi l’obiettivo dell’inclusione è quello di fare il mainstreaming, vale a dire diverse necessità che vengono soddisfatte da uno stesso servizio, anche se comunque ci sarà qualcuno che rimarrà scontento. Quindi forse la parola più interessante è il mainstreaming.
Quali sono i principi dell’accessibilità e del mainstreaming? Intanto la qualità umana, che significa che tutti siamo uguali. Una persona su una sedia a rotelle che può anche essere sorda come viene catalogata? Una persona su sedia a rotelle o persona sorda? Un bambino autistico cieco, è autistico o cieco? Io sono una donna e sono grassa: sono donna o sono grassa? Noi siamo tutti uguali, siamo tutti all’interno di questo contenitore che è l’uguaglianza e quindi la società deve essere aperta a tutti dobbiamo includere le persone con disabilità nel processo decisionale e nel tentativo di trovare delle soluzioni.
Di solito le persone hanno delle soluzioni geniali, ma non vengono mai testate con gli utenti finali, che invece devono essere parte del processo decisionale.
Sarei particolarmente dispiaciuta se tu decidessi che cosa io devo fare in quanto donna e grassa, perché non sei né una donna, né grassa.
Inoltre bisogna mettere le persone con disabilità in cima alle nostre priorità. Infine bisogna avere un cambiamento nella cultura istituzionale questa mattina si è detto che c’è questa legge che includerà per la prima volta questo concetto. Ci sono anche altri paesi che stanno facendo questo, come la Baviera, la Catalogna che non è la Spagna.
C’è una lista che spiega quelle che sono le caratteristiche che ogni prodotto audiovisivo per deve avere fin dall’inizio, e queste caratteristiche includono l’accessibilità.
Adesso vedete tre immagini. Nella prima parte ci sono dei puntini che dimostrano che i diversi servizi di accessibilità non comunicano tra di loro, quindi noi dobbiamo unire i puntini. Per esempio la facilità di lettura, applicata alla sottotitolazione produce dei sottotitoli migliori, applicata alle pagine web, rende la lettura delle pagine web più facile.
Adesso dirò una cosa poco popolare. Se tutti i disabili si unissero, probabilmente otterrebbero maggiori risultati, perché le persone con impianto cocleare non si parlano con i sordi segnanti, che non si parlano con altre categorie, in questo modo non otterremo mai niente.
Essere sordi non è una bella caratteristica, ma poi sei una donna, sei un uomo, sei un rifugiato e quindi per me la sordità è solo la caratteristica di un essere umano e quindi spero che si vada oltre il concetto di sordità per andare verso quello di essere umano.
Questa mattina Carlo Eugeni ha parlato di accessibilità e di progettazione universale. Parliamo adesso del modello che non deve essere un modello medico, ma deve essere un modello per tutti. Quindi l’idea è che noi non dobbiamo più classificare le persone sulla base di caratteristiche mediche, perché un essere umano di solito ha diverse caratteristiche non solo dal punto di vista medico e quindi dobbiamo essere contro questo concetto della tassonomizzazione medica. L’accessibilità non è una condizione medica, è una condizione umana.
Ci sono molti dati sull’accessibilità. Ci sono dati sull’accessibilità per quanto riguarda i libri, i film, per quanto riguarda i musei, per quanto riguarda i film festival, i siti web e le web tv e quindi le persone che producono i contenuti per i media dovrebbero essere inclusi in questo concetto dell’accessibilità, questo potrebbe essere il momento per farlo.
Infine vorrei parlare del servizio Easy to Read, http://easy-to-read.eu/ cioè una grande battaglia che mira a fare qualcosa di diverso rispetto al linguaggio semplificato. É un sistema, un modo di scrivere in maniera tale che la lettura sia più facile.
Nella lettura sono importanti due cose: il contenuto e la forma. Se cambi la forma o il contenuto, allora la lettura può essere più facile.
Qua vedete degli esempi diversi di forma che rendono più facile o più difficile la lettura, quindi, quando scrivete, assicuratevi che il vostro contenuto sia anche dal punto di vista formale facile da leggere.
Anche il font è una cosa importante. C’è una lista di cose che devono essere prese in considerazione quando si scrive. Questa immagine mostra chiaramente la differenza tra leggere un carattere su uno sfondo e leggere un carattere su un altro sfondo.
Per quanto riguarda l’importanza della lettura, in ogni presentazione ci sono i dati. Il 72% delle persone ha difficoltà nella lettura. La lettura è molto importante, non solo quando vai a firmare un contratto con la banca, ma anche per tirare fuori da sacche di povertà la popolazione.
Un altro dato: due terzi degli studenti non sa leggere in maniera professionale e questo è un dato particolarmente scioccante. Molti di loro alla fine finiscono in prigione oppure sono sostenuti dal welfare state, e questo è un dato assolutamente spaventoso.
Abbiamo iniziato questo progetto che è gestito dalla città di Monaco e partecipano anche l’Università di Barcellona e la televisione slovena. Monaco si concentrerà sui rifugiati, l’Università di Barcellona sugli studenti universitari, perché abbiamo molti studenti dislessici. Abbiamo 40.000 studenti e quindi il dipartimento che aiuta gli studenti con disabilità è particolarmente importante. Con Easy to Read lavoriamo per agevolare la lettura degli studenti Erasmus e delle persone dislessiche. Poi abbiamo il partner sloveno che si concentrerà sulla semplificazione dei sottotitoli televisivi, per rendere il mainstreaming una realtà.
Per quanto riguarda Easy to Read, la Svezia è il top. L’obiettivo è quello di copiare quello che fa la Svezia, insegnare nella nostra università e poi andare a insegnare altrove.
“I libri di tutti: innovazione e collaborazione per promuovere l’accessibilità” |
Sono reduce da un incontro che abbiamo avuto ieri con la Federazione degli Editori Europei che rappresenta tutte le associazioni di categoria degli editori di tutti i paesi europei, in cui, tra le varie cose, abbiamo anche presentato le attività della fondazione e abbiamo organizzato quello che per noi è un evento molto importante: un “reading al buio”, iniziativa che serve per sensibilizzare le persone alle problematiche di lettura di una persona non vedente.
Che cos’è la Fondazione LIA? É una fondazione no profit che è stata costituita nel 2014 dall’Associazione Italiana Editori in strettissima collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi, con cui abbiamo collaborato dall’inizio sia con l’ufficio centrale, sia con le altre emanazioni dell’Unione come per esempio l’Istituto Cavazza di Bologna, che è il polo tecnologico dell’associazione, per fare in modo che lavorando sulle nuove possibilità offerte dalle tecnologie si potessero produrre libri digitali che siano accessibili fin dall’inizio. Quindi il progetto è nato dalla strettissima collaborazione con l’Unione e si sta allargando anche ad altre disabilità.
Le parole chiave quindi sono state proprio quelle che si sentivano questa mattina: collaborazione, lavorare fin dall’inizio, innovazione tecnologica, mainstream, cercando di fare in modo che l’accessibilità non sia qualcosa di aggiunto ex post, ma che sia il più possibile qualcosa che viene inserito fin dalla progettazione, dalle fasi iniziali delle lavorazioni dei prodotti editoriali come un elemento costitutivo. Per fare questo non l’abbiamo fatto da soli e solo qui in Italia, ma abbiamo lavorato su tutto quello che si stava muovendo a livello internazionale.
L’obiettivo della fondazione è quello di fare in modo che sia possibile per le persone con disabilità visiva l’accesso ai libri e agli stessi titoli, con gli stessi formati digitali e quindi con gli stessi standard utilizzati nel mondo editoriale, negli stessi tempi, negli stessi canali e anche con le stesse informazioni bibliografiche e con gli stessi strumenti di lettura che usano tutte le altre persone.
Non è così semplice, perché non è un problema solo del modo con cui gli editori lavorano, ma è un problema anche di tutti gli altri elementi della filiera, per esempio con l’Istituto Cavazza, ma anche a livello internazionale dove c’è tutto un lavoro sull’applicazione di lettura.
All’inizio con il Cavazza abbiamo anche litigato, il problema non era nel file, ma nel fatto che le applicazioni di lettura stessa non erano accessibili. In altri casi, quando abbiamo cominciato a pensare di fare comprare i libri dagli store che sono gli e-commerce disponibili, siamo incappati in una cosa che non avremmo mai pensato: arrivando al form delle carte di credito, i campi obbligatori erano quelli evidenziati in rosso, che per una persona con disabilità visiva non è proprio il massimo. In quel caso, sempre in collaborazione con l’Unione, abbiamo scritto all’Associazione Bancari Italiana e grazie alla loro intermediazione, abbiamo parlato con ABI e Setefi, e abbiamo dato indicazioni su come andassero cambiati i campi perché fossero fruibili, quantomeno i form.
Il network nazionale è ampio, perché il tema dell’accessibilità è diventato un tema rilevante.
Sapete tutti che c’è stata la discussione sul trattato di Marrakech, dove gli editori stanno proponendo delle soluzioni rispetto all’accessibilità dei contenuti (Accessibility Act)
Il concetto di fondo è quello che dicevo prima: si ragiona su un concetto che è quello del born access publication, pubblicazioni che nascono accessibili a partire dalle fasi iniziali della produzione. Per ottenere ciò ci sono una serie di problemi: le persone devono avere un know how specifico e i tool attualmente utilizzati non hanno la più vaga indicazione di che cosa vuole dire fare una versione accessibile o meno, non hanno nessun controllo di qualità sull’accessibilità, quindi è tutto demandato alle competenze e conoscenze delle persone che fanno questo tipo di lavoro.
L’obiettivo finale appunto è quello di avere un sistema integrato in cui siano accessibili i contenuti, ma siano accessibili anche i canali tramite i quali si comprano questi contenuti questi contenuti, e siano accessibili anche i dispositivi e gli strumenti di lettura come le app o i software di lettura che vengono utilizzati.
Con il digitale ci sono maggori opportunità. Per creare delle versioni accessibili nei vari formati bisogna fare lavorazioni speciali ad hoc, in alcuni casi anche molto impegnative e costose. Fare un libro braille è sicuramente indispensabile e utile per tutta una serie di tipologie di libri, probabilmente però per una altra serie di libri non ha senso.
Un file digitale invece posso leggerlo usando la barra braille, posso usare la sintesi vocale, posso usare i caratteri ingranditi. Per tutta una serie di pubblicazioni la versione digitale è sicuramente più efficace delle versioni speciali. Il che non vuole dire che non si possa continuare a collaborare per versioni che possano essere utili in certe situazioni.
L’altra cosa che mi preme dire è che facendo questo lavoro con gli editori, abbiamo insegnato agli editori a fare le versioni accessibili e noi facciamo solo una attività di controllo e certificazione. La certificazione comporta anche che noi produciamo dei metadati che descrivono le caratteristiche del libro, che sono in un formato standard e quindi quelle informazioni entrano a fare parte del catalogo dei libri in commercio.
Questo significa per esempio (un altro elemento mainstream): sapere già nel catalogo che un libro ha una versione accessibile e non saperlo solo andando a consultare il catalogo di una biblioteca per persone con disabilità. Questo secondo noi è un altro elemento fondamentale.
Non tutti i distributori mettono in evidenza questa informazione e anche a livello internazionale stiamo lavorando con la Federazione dei Ciechi Americana perché per esempio Apple e Amazon non utilizzano questi metadati e impediscono a una persona di sapere se il libro è accessibile o meno.
Noi abbiamo un catalogo che adesso ha più di 16.000 titoli venduti e distribuiti nei canali correnti. Ogni mese aggiungiamo 400 titoli che sono per lo più novità, quello che la produzione editoriale fa. Il nostro ragionamento è stato: non vogliamo che nessuno scelga, gli editori producono, da Fabio Volo a Fedez, a Umberto Eco, a Coelho, a quello che è, e poi uno sceglie.
Cosa facciamo anche come Fondazione? Siccome la Fondazione si autosostiene, deve trovare un meccanismo che non può essere solo quello che dà la Fondazione Italiana Editori che ha finanziato la società fino adesso.
Per questo facciamo consulenze e formazione, stranamente più all’estero che in Italia. Siamo stati chiamati per esempio dall’ufficio delle pubblicazioni della commissione europea, piuttosto che dalla Uaipo, che ha promosso il Trattato di Marrakech, perché loro hanno un catalogo di pubblicazioni, ma entrambe queste organizzazioni non hanno nessuna pubblicazione accessibile e men che meno un processo produttivo al loro interno che permetta di produrre pubblicazioni accessibili mano a mano, perché è bene che tutte le pubblicazioni escano accessibili: abbiamo verificato che cosa fanno, come producono, abbiamo fatto tutta un’analisi di flussi etc… Dall’altro facciamo corsi di formazione alle personale tecnico che per insegnare loro che cosa vuole dire produrre una pubblicazione accessibile e essere poi in grado di prodursele autonomamente.
Credo che questo sia un elemento importante, vale per le istituzioni, vale per le pubbliche amministrazioni, vale per chiunque pubblichi i contenuti, che siano documenti, libri, cataloghi, o qualunque tipo di pubblicazione, perché le regole e gli strumenti che valgono per gli editori sono gli stessi che valgono per qualunque altro tipo di pubblicazione. Per esempio ultimamente ci ha contattato un gruppo assicurativo svizzero, perché hanno deciso che tutte le loro polizze devono essere d’ora in poi in un formato accessibile anche alle persone con disabilità visiva.
Abbiamo una serie di soci partecipanti, stiamo lavorando con l’Unione per creare un rapporto ancora più stretto e quindi fare in modo che anche loro siano parte della membership.
Lavoriamo anche in un altro contesto sempre per finanziare le attività della fondazione, e soprattutto per finanziare un’attività che noi non riusciremmo a fare da soli, che è la formazione all’uso delle tecnologie per la lettura. Ci siamo resi conto che spesso le persone con disabilità visiva hanno gli stessi gap degli altri, ci sono dei bravissimi nerd all’Istituto Cavazza e poi ci sono invece persone che usano il telefonino solo per telefonare, invece non sanno che per esempio hanno tutta una serie di funzioni di accessibilità e possibilità di lettura.
Per fare questo abbiamo messo in piedi dei progetti con le fondazioni bancarie. Ne abbiamo già fatto uno qua a Torino, finanziato da CRT, che contemplava anche un laboratorio di formazione teatrale con TPE. Ne abbiamo fatto uno a Milano con Fondazione Cariplo anche per il personale bibliotecario e degli operatori culturali e ne abbiamo fatto un altro con Intesa Sanpaolo, a Bologna, Roma, e sul territorio.
L’altra cosa che dicevo sono i “reading al buio”, che sono format in cui una persona non vedente e un autore famoso leggono in alternanza brani di libri con le diverse modalità di lettura, quindi l’autore tendenzialmente legge su carta o su tablet, e la persona con disabilità visiva legge usando lo smartphone, la barra braille, il computer, la sintesi vocale etc..
Perché li facciamo? Perché servono a noi, per esempio, in occasione di eventi come la Fiera del Libro o “Più libri più liberi” per fare conoscere la Fondazione, ma ci servono anche come attività propedeutica di formazione con le aziende, perché abbiamo visto che non c’è niente di più utile ed efficace che fare vedere che vantaggi ha una persona nel momento in cui il file è fatto correttamente.
Abbiamo fatto un reading alla Commissione Europea con degli autori che erano importanti nella commissione, e abbiamo fatto vedere un libro con tabelle ben fatte, un con tutte le descrizioni alternative delle immagini, in cui l’indice era tutto strutturato, e si poteva accedere a tutte le sezioni. Alla fine di questo seminario abbiamo fatto tutta una bella giornata di noiosissime informazioni tecniche e precise di come usare il design, il software di impaginazione, e il giorno dopo due di queste persone del corso ci hanno scritto: “sapete che noi ieri poi siamo tornati in ufficio abbiamo messo tutte le descrizioni alternative delle immagini? Perché non avevano mai capito né percepito il valore aggiunto che ci poteva essere per una persona non vedente, nell’avere questo tipo di lavorazioni fatte in un certo modo.
Se gli avessi detto semplicemente: dovete mettere da adesso in poi la descrizione alternativa delle immagini, avrebbero detto: cavolo una rottura in più, rispetto al mio lavoro.
“How e-accessibility benefit everyone?” |
Ho seguito tutte le relazioni precedenti che sono state molto interessanti, soprattutto se pensiamo alla situazione italiana. Noi dobbiamo assolutamente lavorare e non fermarci come al solito, per fare in modo che tutte le persone disabili italiane seguano il passo dell’Europa.
Il mio compito oggi è quello di spiegare quella che è l’accessibilità all’interno del web. In realtà tutto si muove velocemente all’interno del web, e i siti web non servono solo alle persone disabili. Tutto quello che viene fatto nei siti web è utile per tutti, quindi non bisogna renderli accessibili solo per loro. Vediamo le statistiche.
Qui le statistiche parlano molto chiaro: quella che è la situazione in Europa nel 2017, e quella che è la situazione in Italia nel 2017. L’80% delle persone utilizzano il mondo web. Nel 2010 in Italia il 51% delle persone utilizzava i siti, adesso siamo arrivati all’86%. quindi una grandissima evoluzione. L’86, 7% delle persone utilizza il sito web pensate come si è mosso velocemente il mondo del web. Quello che viene usato di più sono youtube, facebook, dove le informazioni girano in maniera molto veloce.
Voi stessi siete gli attori di queste applicazioni, anche wathsapp e messenger, si sono diffuse molto. Però vorrei tornassimo un attimo indietro ai siti web, coloro che hanno creato questi siti, chi ha inventato tutto ciò.
Questa persona Vint Cerf, ha ritenuto importante creare dei siti per poter comunicare, per fare in modo che le persone potessero comunicare con un protocollo che si chiamava TCP (Transmission Control Protocol), parliamo del 1973. Questa persona crea tutto questo per comunicare. Ho voluto capire perché questa persona si è così prodigata e ho scoperto che era una persona sorda.
Evidentemente per lui era assolutamente importante poter comunicare. Quindi ha voluto trovare il sistema, attraverso protocolli informatici, che poi sono diventati qualcosa di molto più importante. Ciò che ha fatto Cerf è servito a tutti. Questo per farvi capire che nulla di quello che rendiamo accessibile è solamente per la disabilità, ma è assolutamente per tutti.
Ora internet viene utilizzato per qualsiasi motivo. Abbiamo gli smartphone, i pc, i tablet e non solo per comunicare, li utilizziamo per moltissimi motivi, per ordinare dei prodotti, per ordinare del cibo… e, a livello tecnologico, per comunicare, per fare un controllo a distanza.
Se io sono al lavoro, posso attraverso il mio smartphone capire cosa sta succedendo a casa mia, la tecnologia me lo permette. Addirittura posso vedere se la mia macchina che ho parcheggiato in quel posto lì è a posto, o se è successo qualcosa. Addirittura dal mio cellulare posso mettere in moto la mia macchina.
Questo vuole dire che le persone che usano il web sono persone di qualsiasi genere, persone anziane, persone normodotate, persone che hanno difficoltà di udito, persone che hanno difficoltà nel vedere: tutti usano la tecnologia, purtroppo però vediamo quali sono le difficoltà.
Ho preso qualche esempio dal mondo del web. Guardate questo video, in alto a sinistra. c’è una persona anziana che vuole imparare a fare un qualcosa in cucina, deve leggere una ricetta e ha delle difficoltà a leggerla; una ricetta lunghissima e dice: “cavolo, come faccio qua a cucinare?”
Oppure magari la ricetta non è abbastanza visibile, non nella maniera giusta, e quindi cucina qualcosa che non viene come dovrebbe venire.
Questo è un esempio. Parto dalla cucina per arrivare ai siti istituzionali.
Ho un collega che doveva firmare un contratto con la banca e riuscire a leggerlo è stato difficilissimo. Anche solo questa è una semplice difficoltà che posso riscontrare io, come persona sorda, ma che può riscontrare l’anziano udente, piuttosto che la persona normodotata.
Pensiamo alle persone cieche o sordocieche. Hanno difficoltà ovviamente ad accedere ai computer, a quello che offre il mondo del web, perché non riescono a percepire le immagini.
Vediamo quali sono le difficoltà principali che hanno le persone sorde. Guardate quest’altro video.
Vi ho detto che spesso viene utilizzato youtube, molti vanno a vedere i video su youtube, e sono quasi sempre video non sottotitolati. Anche sui siti istituzionali: dibattiti politici piuttosto che altro, web tv tutti non sottotitolati, oppure tradotti ma non con una trascrizione scritta a fianco del video. Quindi una mancanza di informazione.
Ho una compagna che ha tre figli sordi. Tutti i giorni questi bambini vorrebbero andare a vedere su youtube i cartoni animati, anche in tv, ma non ci sono i sottotitoli. Voi immaginatevi un bambino sordo che guarda qualcosa senza sottotitolo: perde tantissime informazioni. Questa situazione reiterata fa sì che l’ apprendimento anche dell’italiano diminuisce, e che la questa mancanza di servizio genera difficoltà.
Vediamo quelle che sono le leggi europee per tutte le persone con difficoltà. C’è una Convenzione ONU di cui tutti siamo a conoscenza e che è molto molto chiara.
L’Italia nel 2007 ha firmato questa convenzione e l’ha ratificata nel 2009. Ratificare una convenzione vuole dire prendersi la responsabilità, l’impegno di inserire quanto dettato dalla Convenzione ONU all’interno della legislazione italiana.
Sono molti gli articoli nella Convenzione in cui si parla di accessibilità: l’art. 9: parla di accessibilità in maniera approfondita, al comma 2 si parla in maniera molto chiara della promozione e dell’accessibilità sulle nuove tecnologie all’interno dei siti web. E questa è una cosa molto importante.
Ma non c’è solo la Convenzione ONU che detta le direttive sull’accessibilità dei siti web. C’è una direttiva sui servizi media audiovisivi, c’è un codice europeo delle comunicazioni elettroniche, ci sono tutta una serie di informazioni che parlano dei diritti di accessibilità per le persone che hanno altre difficoltà.
Quindi il parlamento europeo sta lavorando per fare sì che l’accessibilità sia veramente a 360°nella vita di tutti i giorni per ognuno di noi: accessibilità nei trasporti, accessibilità nell’edilizia… una volta che tutto ciò verrà approvato a livello europeo ci saranno veramente dei grossi cambiamenti. Si sta lavorando molto per questo e anche le stesse associazioni di tutela della disabilità lavorano per tutto ciò.
Vediamo anche quali sono le linee che ho sottolineato in questo riquadro in giallo.
Per esempio il WCAG 2.0 – Web Content Accessibility Guidelines (https://www.w3.org/Translations/WCAG20-it/) in cui si parla dell’accessibilità delle persone, e dell’accessibilità nell’ambito dei media.
E’ chiaro che c’è una legge europea, ci sono delle linee guida e noi dobbiamo sfruttarle.
Da questi esempi vi faccio capire che ci sono servizi utili a tutti e non solo alle persone disabili. Per esempio utilizzare il sottotitolo con un colore contrastante, quindi io capisco chi manda il messaggio a chi, e questa è una cosa che serve a tutti, non solo alla persona con disabilità; per leggere in maniera più veloce e più comprensibile, come diceva la collega in precedenza, il 72% delle persone hanno difficoltà nella lettura. Questo è legato al fatto che spesso e volentieri la visibilità non è chiara. Allora se noi rendiamo tutto più chiaro visibilmente, leggiamo più facilmente.
La tastiera, l’utilizzo delle tastiere in maniera adeguata per tutti, che può essere utile per tutti. Una tastiera pronta per i ciechi, quindi con il braille già inserito o una tastiera parlante, non deve essere fatta solo per le persone con quel tipo di disabilità, ma per tutti, deve avere dei servizi che possono essere multitasking: mentre cucino posso ascoltare quello che è il lavoro che devo fare sul web.
Leggere in maniera più chiara. Quando ho dei testi molto lunghi, dovrei avere la possibilità di leggerli. Per esempio nei giornali on line, quando vai a leggere l’articolo, è sempre una pagina intera, lunga, difficilmente comprensibile, con informazioni che bisogna andare a ricercare. Invece bisogna rendere tutto molto più accessibile come per esempio le informazioni sulla figura in basso a sinistra. Avere la possibilità di ingrandire qualsiasi cosa io voglia vedere, serve a tutti, non solo alle persone che hanno difficoltà con la vista, ma anche alle persone che portano gli occhiali e che magari non riescono a leggere delle parole scritte in piccolo.
Riconoscimento vocale: ogni azione viene tradotta con il riconoscimento vocale, che può essere utile per moltissimi usi. Per esempio io parlo e posso mettermi a scrivere, posso creare un sottotitolo, oppure guardare la televisione. Il respeaking ormai è diventato utile ovunque, ma non è un vantaggio solo per le persone sorde, ma anche per le persone udenti. Voi pensate a quanti messaggi vocali noi mandiamo durante l’arco della nostra giornata, senza doverli scrivere?.
Sui siti servono i sottotitoli. L’informazione è importante. Il sottotitolo non serve solo alle persone sorde, ma anche alle persone che hanno difficoltà di lettura, persone che vogliono imparare l’italiano come seconda lingua, persone che magari sono in un posto rumoroso e attraverso il sottotitolo possono accedere all’informazione.
Il servizio-ponte che molti non conoscono è un servizio che permette alla persona sorda di comunicare con la persona udente. Quindi connette i due mondi insieme. Se io persona sorda, voglio comunicare con una persona udente, posso attraverso una chat dire quello che voglio dire. Tra me e la persona udente c’è una persona che ripete quello che sto traducendo a voce. La stessa cosa si può fare con la videochat. Se voglio usare la LIS posso farlo attraverso il video e questa persona che mi fa da ponte. E’ molto utile per il mondo del lavoro, perché se lavoro in un’azienda posso avere un’autonomia lavorativa, se mi trovo in ospedale posso usare il servizio ponte per comunicare con i medici. Purtroppo in Italia questo servizio è ancora molto fermo. In tutto il resto d’Europa però c’è.
Questo per farvi capire quanti e quali sono i vari servizi che abbiamo a disposizione.
In ultimo, concludendo, il Design For All: quando si pensa a un qualcosa, prima di crearla, dobbiamo già crearla pronta perché sia accessibile.
E vi lascio con un’ultima frase che diceva Vint Cerf: “Ci sono 20 miliardi di persone al mondo e l’obiettivo è che tutti utilizzino questa tecnologia perché sia di vantaggio per tutti.”
“I broadcasters europei e la disabilità”
Volevo riallacciarmi al messaggio lanciato da Vera Arma, per spiegare però che cosa succede in televisione. In realtà tutto quello che è stato detto un po’ da tutti gli intervenuti, sulla televisione, sulle audiodescrizioni, sui sottotitoli, mi sembra parli esclusivamente dei programmi preregistrati, cioè dei programmi “pronti”.
Io vi parlo di quello che succede in Rai dove più della metà dei programmi sono in diretta o, se sono preregistrati, sono pronti a ridosso della messa in onda. Motivo per cui la sottotitolazione viene fatta all’ultimo momento e l’audiodescrizione non può essere proprio fatta, perché l’audiodescrizione richiede dei tempi di lavorazione molto lunghi. Noi facciamo delle cose in emergenza in una settimana, cinque giorni al massimo, oltre non riusciamo ad andare.
Quindi non è così facile parlare di accessibilità in televisione o, perlomeno, in Italia, e in Rai.
In Rai sta diventando tutto un telegiornale. Il tempo di lavorazione per rendere pronto e fruibile in maniera accessibile un programma come quelli di Angela per esempio, noi non ce l’abbiamo. Angela consegna il giorno stesso della messa in onda. E questo vale per tantissimi programmi.
Con “Voyager” abbiamo fatto una lunghissima battaglia, vinta, perchè non consegnava per farci fare i sottotitoli in tempo utile. Quindi io ho deciso di togliere a un certo punto dalla programmazione la sottotitolazione di questo programma, scatenando l’inferno tra gli utenti sordi, però alla fine siamo riusciti ad avere il prodotto con un po’ di anticipo.
Quindi è vero la Rai e i servizi pubblici in generale si attengono al contratto di servizio, che peraltro è scaduto da cinque anni, e siamo in attesa del rinnovo. I quantitativi, e gli obiettivi sono diversi tra sottotitoli e audiodescrizioni. Il precedente contratto, quello scaduto, prevedeva il raggiungimento del 70% di sottotitoli nella fascia oraria 6-24 sulle reti generaliste, quindi sui tre canali. Per le audiodescrizioni é previsto un progressivo aumento, quindi non c’è un’identificazione di un obiettivo preciso.
Posso dirvi che nel 2010 si trasmettevano 300 ore di audiodescrizione e adesso nel 2016 siamo arrivati a 900. Quest’anno ci sarà un consistente aumento.
Comunque la Rai è tenuta a rispettare gli obblighi che vengono decisi dal Ministero dello Sviluppo Economico, e si attiene nel corso della vigenza di questo contratto di servizio. Ci siamo sempre attenuti anzi, siamo andati anche un po’ oltre, considerando che il contratto di servizio è scaduto da cinque anni, noi non ci siamo fermati, io non mi sono fermata al 70%. Abbiamo raggiunto un po’ più del 75% in questi anni. Non è molto, però non essendoci un contratto di servizio in essere, il nostro lavoro abbiamo cercato di farlo e continuiamo a farlo e continuiamo su questa strada.
La Rai fa anche un notevolissimo lavoro di ricerca, che non emerge, se ne sa poco, a malapena lo sappiamo tra di noi. Al nostro interno sappiamo che al CRIT di Torino fanno delle cose straordinarie, ma non si sa niente. Anche di quello che fa la mia area per esempio in Rai si sa molto poco. Non è pubblicizzato, tant’è che io vedo che sui siti, sui blog, sui forum dei sordi circolano strane informazion,i devo dire in molti casi non corrette, che non so da dove provengano.
Il fatto che la Rai sottotitoli per esempio il 30% della programmazione è una cosa non corretta, siamo oltre il 75% in questo momento.
Se ci si chiede di sottotitolare il 100% 24 ore al giorno, si chiede una cosa impossibile. Esiste un contratto di servizio, che viene fatto dal Ministero dello Sviluppo Economico insieme a Rai e, a fronte di questo, il mio settore può avere a disposizione un budget, che devo dire non è un budget irrisorio, è un budget piuttosto consistente per lavorazioni che costano quasi il doppio rispetto a quello che costa il programma per una persona normale.
Quindi, quando mi viene detto “ma io pago il canone”, lo so, tu paghi il canone, come lo pago io, però le lavorazioni che noi facciamo per rendere accessibili i prodotti Rai costano molto, non sono gratuite, non c’è niente di automatico, tutto ha un costo.
Vorrei adesso fare solo una divagazione. Mi sono trovata l’anno scorso in una delle frazioni di Amatrice durante il terremoto ed è stata una esperienza allucinante. Mi sono sentita nei panni di una persona cieca, sorda, non sapevo cosa stesse succedendo: sapevo che era il terremoto, però non sapevo dove fosse, non funzionava il telefono, non c’era la luce, la radio non funzionava, il televisore non funzionava, non sapevo che cosa mi stava succedendo intorno. Dalle 3: 36 di notte io ho capito cosa era successo alle 10 della mattina dopo, quando il bar del nostro paese, che aveva un gruppo elettrogeno, ha potuto mettere in funzione il televisore.
Ecco, io lì mi sono chiesta, ma una persona che non vede, non sente, che cosa ha fatto? noi come servizio pubblico che cosa possiamo fare per mettere una persona in condizioni di sapere che cosa sta avvenendo durante una catastrofe?
In questi giorni in Messico ci sono, non so se sbaglio, cinque milioni di persone senza elettricità. Come vivono? Come possono muoversi, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare un momento che è veramente inimmaginabile.
Vorrei lasciare la parola al mio collega Andrea Del Principe che sicuramente vi affascinerà con quello che stanno facendo loro.
DT In realtà questa tua osservazione sul servizio Rai, è anche castrata dal fatto che ci sono alcune normative che devono cambiare, no? I programmi devono essere consegnati in tempo utile per poter essere lavorati. Non si può pensare di avere un servizio a valle, come giustamente le persone richiedono, se non si opera a monte, perché altrimenti chi sta in mezzo, cioè il vostro servizio, arranca ed è sempre attaccabile, ed è sempre poco difendibile.
Quindi devono cambiare anche all’interno di Rai certi meccanismi e certe sensibilizzazioni, perché non si possono pretendere troppe cose da chi poi non ha i tempi, non ha magari neanche le persone, deve fare dei controlli per garantire la qualità, e quindi deve avere anche il tempo di poter agire. Se questo tempo non c’è, purtroppo c’è il rischio che salti la catena.
E quando tu mi dicevi che in qualsiasi piano decisionale viene escluso il servizio sull’accessibilità, quindi tu non vieni chiamata ai tavoli, quelli importanti, in cui si giocano delle storie, io credo che debba cambiare anche questa situazione dovuta di nuovo a una mancanza di consapevolezza, a una mancanza di sensibilità, da parte di chi in realtà detiene il potere di produrre prodotti culturali, che siano di intrattenimento o di informazione. E’ la produzione che deve prendersi carico della resa accessibile, non chi poi alla fine deve rendere accessibile un prodotto che accessibile non è.
Raffaella Cocco: non esageriamo però, diciamo che l’attenzione la Rai ce l’ha, però in alcuni momenti si distrae, forse è distratta da cose più importanti, però ecco.. diciamo che dei passi in avanti sono stati fatti e continueranno a essere fatti. Confido in questo.
Non molti sanno che la Rai ha un centro che si occupa di ricerche tecnologiche e tre persone si occupano di tecnologie per la disabilità. Mi viene in mente Alexander Fleming che inventò la penicillina per caso: aveva dei vetrini, e vide che dove si sviluppava una muffa non proliferavano i batteri. Questa è una rivoluzione che ha cambiato il mondo.
C’è uno strumento per la sintesi vocale che ti permette di essere indipendente dal giorno in cui lo compri, poi riesci a telefonare e addirittura a scrivere le mail alle altre persone.
Noi crediamo molto nel fare rete, che significa che non esiste più il genio come Leonardo che teorizzava l’elicottero e dipingeva la Gioconda, ormai non si può fare niente da soli, bisogna fare una rete in cui ciascuno conosce il proprio pezzo.
Stiamo facendo un bellissimo progetto di teleriabilitazione per persone con esiti da ictus, infarto cerebrale e alzheimer. Abbiamo conosciuto persone che erano avvocati, 45 anni, e di colpo il giorno dopo si trovano a fare una lunghissima riabilitazione post-ictus. Il problema che hanno queste persone è perdere la voglia di lottare. Talvolta gli esercizi che gli vengono proposti sono: qua ci sono dei disegni, dimmi quali sono rotondi e quali quadrati. Quello che la settimana prima disquisiva in tribunale capite che non è molto stimolato da questo.
L’idea è stata di utilizzare dei contenuti Rai: dal discorso del Papa che diceva “andate a casa, guardate la luna come è bella, andate a casa e fate una carezza ai vostri bambini e dite che questa è la carezza del Papa”, a Italia-Germania dell’82, o l’uomo sulla luna; sono emozioni e coinvolgere la sfera emozionale è fondamentale perché si mantiene attiva la persona.
Questa tecnologia si basa sui movimenti delle mani. Le situazioni cambiano cancellando lo schermo a ogni cancellatura corrisponde una degli spezzoni di trasmissioni che contemplano non solo la visione ma anche esercizi riabilitativi. Per farvi un esempio: vedo uno spezzone della Prova del Cuoco, e poi appare un puzzle della Prova del Cuoco, o vieni stimolato a fare degli esercizi, a spostare degli oggetti all’interno della Prova del Cuoco dove appare un canestro. Sono esercizi coinvolgenti, ma soprattutto c’è un sistema di database che mantiene la traccia di quello che è lo sviluppo della terapia del paziente, quanto bene ha fatto l’esercizio, quanto sta migliorando nel tempo e tutto questo può essere fatto anche da casa.
Un’altra cosa che stiamo facendo è l’accessibilità del Museo, della Radio e della Televisione a Torino. L’accessibilità passa attraverso alcuni strumenti come l’induzione magnetica e la lingua dei segni con Avatar. L’Avatar era nato da una collaborazione con altri soggetti, ma è diventato di proprietà della Rai e adesso lo stiamo utilizzando per fare delle traduzioni per adesso nel museo, ma un domani speriamo in televisione.
Ci si avvarrà della sintesi vocale per alcune parti, in altre invece ci sarà l’intervento di uno speaker professionista. Un totem all’ingresso del museo, utile a qualunque tipo di disabilità, verrà seguito dalle spiegazioni in braille, spiegazioni con un riconoscimento vocale che ti consente di parlare con chi non può scrivere sulla tastiera etc..
Stiamo collaborando con l’Auditorium, dove pensiamo di mettere un’induzione magnetica all’interno di un’area della platea per portatori di impianto cocleare.
Un’altra idea è quella di organizzare con le Molinette degli incontri in cui chiedere ai professori d’orchestra di suonare solo una parte di una partitura complessa, l’oboe, per esempio. Per chi porta un impianto la musica è difficile da identificare nel suo complesso e quindi questa attività si potrebbe usare sia per l’accessibilità e portare più persone ad ascoltare la musica, sia per fare terapia.
A proposito di fare rete stiamo lavorando a un telefono per sordociechi. Noi abbiamo fatto consulenza per quanto riguarda la tecnologia della LIS, insieme al Politecnico di Torino. Questi ricercatori hanno pensato di prendere un sistema che riconosce i segni e trasmettere le informazioni a una mano domotica che all’altra parte del filo fa gli stessi segni. Quindi il sordocieco che conosce la lingua dei segni ma ha bisogno di toccare le mani del segnante, tocca la mano robotica e capisce il segno dell’altra persona. Queste persone non hanno la possibilità chiaramente di telefonarsi, non possono parlare, non possono segnare a video. Inizialmente questa mano robotica che costava 200.000 euro. Poi uno studente del Politecnico ha detto: “ma perché non lo stampiamo in 3D, hanno fatto una stampa autocad, hanno usato i servocomandi degli aeromodelli per fare il movimento delle falangi della mano, e il costo è passato da 200.000 euro a 20 euro. Chissà che qualche idea che cambierà il mondo non l’abbiamo sentita già oggi.
Speriamo.
“ Le barriere invisibili di Internet. La svolta necessaria per una vera accessibilità dei contenti e dell’informazione in rete”
Diciamo che passiamo da mamma Rai a chi vive nella dimensione micro sulla comunicazione in rete. Partirei dalla fine. Se oggi dovessi andare in redazione a fare il titolo sulla giornata di oggi, visto che ci sono colleghi giornalisti, io direi “Nasce la lobby per l’accessibilità”(forse con un punto di domanda). Nasce la lobby per l’accessibilità? Questa domanda la vedremo nel processo che da questo incontro si può generare.
Per quanto ci riguarda, come giornalisti, siamo stati rimproverati dalla presidenza sull’attenzione che potremmo dare a questo evento. E’ stato detto che il prodotto culturale è un processo e non è un prodotto. Anche la notizia è un processo e non è un prodotto. La notizia ha bisogno di un’attenzione particolare e di una disponibilità ad accoglierla come tale. L’accessibilità è una notizia? Su questo dovremmo interrogarci. Io credo sia una notizia, ma dobbiamo costruire un’accensione di interesse, una sensibilità all’interesse stesso. Nel mondo dell’informazione, se la notizia è un processo, ha delle regole e queste regole sono state richiamate qui proprio dall’intervento precedente, secondo me non a caso, perché poi c’è una logica negli strumenti di informazione, queste regole prevedono un tempo. La notizia deve essere trasferita nel minor tempo possibile, costruita e trasferita nel minor tempo possibile, se no non è notizia.
Per chi ha il contratto di servizio con lo Stato questo tempo significa risorse. Per chi vive sulla rete e tenta di fare informazione in rete, questo tempo significa distogliere energie fondamentali per il lavoro da altre possibili priorità e definire questa come priorità.
Allora io dico che non è possibile fare un salto di qualità nell’informazione in rete sul tema dell’accessibilità se non ci sarà una rete che costruisca un’ecologia digitale, un mercato delle informazioni accessibili, un modo di indirizzare anche il flusso della ricerca di informazione tale da rendere sostenibile la produzione di contenuti di informazione accessibili.
Noi siamo una piccolissima testata digitale. Siamo stati svegliati nella nostra attenzione sulle questioni dell’accessibilità da una telefonata nel 2011. Mi arrivò da Carlo Eugeni che mi disse: “Bella Libera TV! Fate dei contenuti interessanti, contro corrente, si trovano contenuti che da altre parti non si vedono, ma avete mai pensato che i vostri contenuti non sono accessibili? E noi, comunicatori, anche in quella fase più di oggi, web entusiasti, avevamo un’idea che appunto a noi era stata data un’accessibilità attraverso la rete, cioè la possibilità di produrre informazione a costi bassi e teoricamente raggiungere un’infinità di fruitori di questa informazione. Abbiamo sentito subito collettivamente un limite profondo: non ci eravamo resi conto che i nostri contenuti non erano accessibili al 20% della popolazione, e allora abbiamo costruito una collaborazione con “On Air” per la realizzazione di contenuti sottotitolati. Credo un’esperienza tra poche. Perché se andate a cercare online i contenuti sottotitolati, e possiamo chiederlo ai grandi della comunicazione: il Corriere della Sera, Repubblica, ce li hanno? Non lo so.
Ce lo siamo chiesti anche da un punto di vista deontologico. Quali sono i riferimenti deontologici per un giornalista? L’unico riferimento alla questione dell’accessibilità che ha un giornalista sul piano deontologico, è nella legge del 2016 sui doveri del giornalista, che prima era preceduta dalla carta di Perugia sui diritti del malato, che diceva che il giornalista tutela i diritti dei soggetti deboli, in particolare minori, handicappati e anziani, questo è dal punto di vista deontologico l’indicazione da seguire.
Oggi abbiamo un’indicazione che non so se è tanto migliore, perché il testo unico del 2016 dice: “il giornalista rispetti i diritti delle persone malate e la dignità di persone portatrici di menomazione intellettuali, fisiche e sensoriali”. E’ quindi più specifico: nella costruzione del contenuto di informazioni devo stare attento come comunico la disabilità, ma non devo farmi carico che il veicolo dell’informazione sia accessibile.
Allora c’è un problema di giornalisti, certo. I giornalisti sono una categoria che giustamente viene picchiata e criticata per ogni mancanza di evidenza di un punto di interesse pubblico, però i giornalisti, quando gli va bene, sono dipendenti da strutture editoriali, da editori; e quando non gli va bene, sono costruttori del loro percorso di informazione e comunicazione.
Sottolineo che i giornalisti si richiamano sempre l’art. 21 della Costituzione che riguarda il diritto di informare e la libertà di stampa; invece i giornalisti dovrebbero, e tutti dovremmo, richiamarsi l’art. 3 della nostra costituzione, che dice che la Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la piena partecipazione dei lavoratori alla vita politica e sociale del paese.
Allora qui c’è un punto politico, cioè affrontare il tema dell’accessibilità è un tema di uguaglianza digitale. E’ la costruzione di una cittadinanza digitale piena, non può che passare attraverso la rimozione delle barriere, non architettoniche, ma barriere sensoriali che impediscono la piena cittadinanza digitale e quindi la costruzione di una piena democrazia. Se la fruizione dell’informazione digitale è l’elemento fondamentale della costruzione dell’opinione di oggi, senza una opinione che sia accessibile, un’informazione che sia accessibile a tutti, non abbiamo la piena democrazia.
Quindi dobbiamo andare alla radice del problema e la radice del problema, sarò banale, ma è una questione di risorse. Posso dire anche di forma della costruzione del mondo dell’informazione, che ormai cancella la funzione del giornalista, se vogliamo essere sinceri, ma questa è un’altra discussione, non appartiene al contesto odierno.
Ma le risorse devono servire per fare informazione in modo corretto. E dentro questa c’è la questione della tecnologia, perché è vero che youtube sottolinea automaticamente i contenuti (e i sordi prima di tutto si lamentano di questo, perché li distorcono). Però youtube significa affidarsi a youtube. E noi come esperienza di comunicazione e di informazione abbiamo tentato, magari con atteggiamento utopico, di dire: il nostro contenuto non può essere affidato a una multinazionale che ha sede in California, che da un giorno all’altro può decidere che il tuo contenuto non esiste più, e vi prego di fare attenzione, nel controllo di internet stiamo andando proprio in questa direzione.
Noi vorremmo avere il nostro contenuto sul nostro server, a disposizione della nostra redazione, decidere noi quando un contenuto è disponibile o no, e questo per i contenuti audiovisivi è impossibile, perché la percezione della dimensione, l’alta qualità, fa sì che non è possibile affidarsi e quindi diventare un produttore di contenuto per altri, un produttore di traffico per altri, in un sistema che sta diventando monopolistico, perché noi parliamo di pluralità della rete, che però è di pochissimi soggetti.
Concludo dicendo che abbiamo provato a trovare delle risorse, ma non ci siamo riusciti. Abbiamo provato con la 838, presentando con On Air progetti di sottotitolazione della rete, presentando altre progettualità, avremo sbagliato a non aver presentato progetti abbastanza forti, anche per le dimensioni? Perché se sei piccolo non sei credibile e non vieni preso in considerazione nella progettualità.
Concludo da dove sono partito: è possibile costruire una rete come è stato per noi, che abbiamo trovato un partner, abbiamo fatto 375 contenuti sottotitolati, è pochissimo, però è quello che hanno potuto fare loro, anche con problemi strutturali. Se noi sottotitoliamo dentro il video, abbiamo un raddoppio del contenuto. Adesso non vado nel tecnico, però un raddoppio del contenuto significa non poter indirizzare il contenuto stesso nel modo migliore, e quindi non avere il pubblico sufficiente per crescere. Allora noi abbiamo trovato On Air che in modo volontario ha partecipato a un’esperienza di accessibilità.
Ma come si fa a dare accessibilità alla rete? Si è fatta una nuova legge del finanziamento all’editoria: hanno pensato a tutti, tranne a chi fa informazione oggi, e cioè i giornalisti che provano a fare informazione sulla rete senza essere dentro strutture gigantesche che hanno possibilità di accedere al mercato pubblicitario. Perché nella legge non c’è una linea di finanziamento per l’accessibilità dei contenuti informativi in rete che consenta a tutti di accedervi, non solo a grossi soggetti che hanno già alle spalle un grosso progetto editoriale, ma a tutti! Un comportamento dell’utente in rete che rifiuta il contenuto accessibile.
Noi dobbiamo fare sì che ci sia una consapevolezza. In questo modo i tempi si riducono. Perché se non posso produrre una notizia prima di averla resa accessibile perché violo la deontologia e violo il rapporto con il fruitore, ecco che sono pari agli altri. Ma se tutti gli altri lo possono fare e io non lo voglio fare perché sono più sensibile di altri, io pubblicherò quella notizia quando quella non sarà più notizia. Allora costruiamo questa lobby per l’accessibilità e facciamo sì che il mondo dell’informazione non sia solo rimproverato perché non dà notizia sulla giornata di oggi.
Ci vogliono risorse e ci vuole anche forse… l’agenzia per l’accessibilità digitale che riconosca lo sforzo per l’accessibilità.
Chiudo con un’ultima considerazione, visto che siamo ospiti dell’Ordine dei Giornalisti tra le altre cose: se andate sulla pagina dell’Ordine, vedete che c’è la pagina accessibile. Andate sulla pagina accessibile e il video pubblicato, che è la conferenza stampa del Presidente del Consiglio del 2016, non è sottotitolato. Quindi voglio dire c’è molto da fare in termini di consapevolezza.
Noi siamo una realtà piccola, ma credo che appunto Lilliput può ancora provarci anche senza avere troppi dubbi e illusioni sulla dimensione digitale che si sta chiudendo. Una porta si è aperta, siamo entrati, abbiamo visto una bella sala, ma adesso ci stanno buttando fuori a calci.
“La comunicazione, elemento inviolabile dell’accessibilità”
La comunicazione l’elemento inviolabile della dell’accessibilità, dobbiamo considerarlo elemento fondante di qualunque cosa ci attorni, perché senza pubblicazione non abbiamo percezione. Voi vedete dalle immagini “io comunico”.
Dicevo che il titolo è la comunicazione, elemento inviolabile dell’accessibilità, perché non possiamo parlare di accessibilità senza affrontare il tema della comunicazione. E la comunicazione, secondo me, è quello che ci mette in relazione con tutto quanto ci contorna. Qui abbiamo una persona, abbiamo un ostacolo. Ambedue le cose sono in comunicazione per il fatto che esistono e possono entrare in contatto fra loro, possono percepirsi. Cosa succede se questo viene riportato all’accessibilità? La comunicazione nell’accessibilità è fondamentale, perché, se non esiste, abbiamo delle conseguenze, ci si può fare molto male.
Un’altra conseguenza è che se non si può comprendere quello che abbiamo di fronte, non c’è comunicazione, la comunicazione è fatta male, e possiamo trovarci di fronte a delle gravi conseguenze. Se invece la comunicazione esiste ed è fatta bene, possiamo arrivare a evitare che sorgano problemi, possiamo arrivare a fare in modo che le persone scoprano quello che è l’oggetto che si trovano di fronte, oppure addirittura fare delle scoperte che neppure riusciamo a immaginare a priori. Questo succede se la comunicazione è fatta bene.
Come riusciamo a fare della buona comunicazione in tema di accessibilità?
Ogni giorno dobbiamo metterci in testa che l’accessibilità è rivolta alle persone con disabilità. Tuttavia l’accessibilità deve essere rivolta a tutti e quindi l’accessibilità deve cambiare accezione. Dobbiamo pensare a un’accessibilità universale, quindi non dobbiamo necessariamente parlare di progettazione universale o design for all, ma dobbiamo pensare a un’accessibilità che sia essa stessa utenza ampliata, essa stessa progettazione universale.
Ogni giorno, dobbiamo confrontarci con la disabilità, e allora noi dobbiamo conoscere la disabilità. Ma che cos’è la disabilità?
Oggi in merito al linguaggio c’è confusione e il linguaggio deve essere conosciuto.
La disabilità sta nella condizione di salute di una persona in rapporto all’ambiente. E quando questa condizione è sfavorevole crea della disabilità. Quindi diciamo che la disabilità è costituita dall’ambiente e anche dalla condizione di salute, non solo dalla condizione di salute della persona, ma anche dall’ambiente.
In Italia il modo esatto per parlare di disabilità e di questo aspetto, è parlare di persona con disabilità.
Adesso passeremo alla terminologia più corretta. Intanto mettiamoci in testa un concetto: oggi dobbiamo parlare di persona con disabilità.
Ma prima dei termini dobbiamo pensare a come ci si pone di fronte alla disabilità. Il retroterra della persona con tutta la sua dignità, con le sue problematiche, con i suoi vantaggi. Come ci si pone verso la disabilità?
Si deve sapere che oltre a considerare la persona prima di tutto. Non bisogna temere l’uso di espressioni, non bisogna avere paura di dire a una persona con disabilità motoria “andiamo a fare quattro passi”. Bisogna modificare concettualmente il pensiero.
Direi che il linguaggio deve essere il linguaggio che l’operatore deve utilizzare e padroneggiare nei confronti della persona con disabilità e della disabilità in generale, deve essere corretto, non guardare al politicamente corretto, cioè non guardare alla pura forma, ma all’essenza e ai termini e al loro valore tecnico, scientifico, nell’ambito della correttezza del linguaggio, della giusta comunicazione della disabilità. Poi vedremo qualche fonte a cui attingere per acquisire i termini del giusto linguaggio.
E poi il linguaggio deve essere neutro. L’operatore non deve scolpire degli dei, non deve trasformare le persone in eroi, né deve plasmare delle persone su cui è facile piangere. Nessun pietismo, nessun eroismo. Ci sono altri punti, mi soffermo solamente sull’ultimo per andare veloce. Bisogna usare n linguaggio corretto, neutro e anche legittimo.
Purtroppo in Italia la legislazione è abbastanza varia e in alcuni momenti anche creativa, quindi ci possiamo imbattere in termini come invalido, portatore di. Vedremo che sono termini che non andrebbero utilizzati, ma se ci si rapporta alla terminologia della burocrazia, a una descrizione, non a una citazione, non possiamo esimerci dall’usare quel linguaggio.
E adesso entriamo nel vivo del discorso del linguaggio.
Cosa non bisogna usare: handicap, handicappato e ogni riferimento alla cultura dell’handicap. Questo non solo perché è offensivo, ma perché è semplicemente superato.
Handicap, portatore di handicap e via dicendo erano termini che erano validi fino al 2001. Dal 2001 con la classificazione al disfunzionamento, della disabilità, della malattia il cosiddetto ICF a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, non si può parlare di handicap, ma bisogna parlare di disabilità, di persone con disabilità. Quindi handicap o handicappato assolutamente no. Affetto da disabilità no perché la disabilità, abbiamo visto, non è una malattia, è semplicemente una condizione di salute che dipende anche dall’ambiente circostante. Quindi affetto da disabilità no.
Portatore di… , no, perché la persona con disabilità non porta nulla, semmai “ha” la disabilità.
Diversamente abile: torniamo al discorso del politicamente corretto è sbagliato! E’ sbagliato, perché la comunità scientifica a livello internazionale ha accertato, ancora prima che in Italia che è una terminologia da superare, perché è scorretta.
Sordomuto non si dice più, si parla semplicemente di sordità. Anormale, anormalità, deforme, sono termini da non utilizzare, se non strettamente in campo medico e penale.
Tutto ciò che può creare pregiudizio non va utilizzato. Persino non va usato disabile come sostantivo. Non bisogna dire “la disabile”, ma la persona con disabilità.
Si parla di persona “con”: persone con sindrome di down, persona con nanismo, usiamo disabile come attributo.
Per quanto riguarda le malattie mentali, lungi dall’usare la parola “ritardato”, meglio usare “disagio mentale”.
Dicevo che in Italia il termine disabile è accettato, all’estero no. In Italia utilizziamo un linguaggio parlato più grossolano, e ci accontentiamo di dire disabili sottintendendo che ci siano dei soggetti sottintesi: un gruppo, una comunità, che a sua volta si sottintende sia costituito da “persone”.
Non si dice carrozzella la carrozzella può essere sostituita da botticella, da carrozzina per diletto, ma è comunque quella trainata dal cavallo. La carrozzina in senso stretto è per le persone con disabilità. Le persone con disabilità si muovono in carrozzina non in carrozzella, e con i vari diversi tipi di carrozzina.
Per quanto concerne le varie forme di disabilità, mai dire “persona affetta da sindrome di down”, mai dire persona affetta da nanismo, perché le varie disabilità possono avere un’origine differente da quella patologica. Quindi per non sbagliare, è sempre meglio dire “persona con”: persona con sindrome di down, persona con nanismo, persona con sordità o persona sorda, o eventualmente persona down. Deve esistere la citazione alla persona e far comprendere che il resto è un attributo, quindi “il nano” è sbagliato.
Costretto in carrozzina è una terminologia che non andrebbe mai utilizzata, mai e poi mai. Però può succedere che nella narrazione si crei il momento per dire “costretta in carrozzina”, persona in quel momento costretta a muoversi in carrozzina. Io dal 1988 sono costretto a muovermi in carrozzina, con questa sfumatura può essere utilizzato. Ma quel “costretto in carrozzina” dà un senso di oppressione che non è di tutte le persone con disabilità. La carrozzina è uno strumento di libertà, non costringe, permette di muoversi. Senza carrozzina si sarebbe veramente costretti a letto.
Il temine non udente, non vedente non è sbagliato. Ma siccome la modalità comunicativa è quella di partire dall’aspetto positivo per ciò che si ha, allora sarebbe meglio dire “persona sorda”, “persona cieca”, purché sia la parte privilegiata della locuzione il termine “persona”.
Un’ultima puntualizzazione, questa per i colleghi giornalisti che hanno sempre la spada di Damocle del sinonimo: come fare a utilizzare il sinonimo di persona con disabilità, non si può. Perché il modo esatto di dire è “persona con disabilità”. Bisogna usare un po’ di furbizia e utilizzare dei costrutti che utilizzano “disabilità”, oppure che sostituiscano “disabilità” con l’aggettivo “disabile”.
L’accessibilità ha un suo linguaggio. Il linguaggio non può prescindere da quello della disabilità. Il linguaggio della disabilità deve essere conosciuto.
Le parole chiave del convegno
In questo breve testo abbiamo riassunto quelli che secondo noi sono gli stimoli e le argomentazioni sui quali ci auguriamo di poter lavorare in un prossimo futuro.
- L’inclusione è un meccanismo culturale (Giancarlo d’Errico))
- Considerare la disabilità come una situazione normale che può capitare a tutti nel corso dell’esistenza (Stefano Borgato)
- Il prodotto culturale è diventato più che mai prodotto e basta (Stefano Pierpaoli)
- La cultura è un processo (Stefano Pierpaoli)
- Legittimazione individuale dei fruitori (Stefano Pierpaoli)
- Il museo è un’istituzione permanente al servizio della società e del suo sviluppo, al servizio della società (Dario Scarpati)
- Il museo è anche un teatro, un teatro di esperienze. (Dario Scarpati)
- Oggi finalmente i musei parlano di interpretazione e questa è veramente una svolta
(Miriam Mandosi) - Il diritto all’eredità culturale e l’altro è l’importanza della comunità di eredità. Il patrimonio culturale esiste solo se ci sono delle persone che lo individuano e capiscono che ha un valore, e quindi lo conservano, e quindi lo portano avanti per le generazioni future (Miriam Mandosi – Convenzione di Faro)
- La forza dei musei siamo noi, noi tutti, noi che fruiamo del patrimonio e noi che ci lavoriamo. ma noi che ci lavoriamo, chi siamo? (Miriam Mandosi)
- Quando si parla di accessibilità non lo si fa dopo che il direttore o il curatore ha deciso cosa esporre o come, ma si fa insieme. Vogliamo costruire un patrimonio che serva a creare una società democratica? Cominciamo subito a capire che dobbiamo farlo dall’inizio insieme, tutti insieme. (Miriam Mandosi)
- Secondo uno studio fatto da Offcom, di cui parlava prima Federico Spoletti, in Inghilterra i sottotitoli per non udenti sono utilizzati solo per il 20% dai non udenti, quindi appunto sordi segnanti, presbiacusici etc.. perché il restante 80% è composto dagli udenti, cioè da persone che sentono, ma che sono per esempio straniere. Per esempio in Germania i sottotitoli per non udenti sono utilizzati da molto tempo per integrare gli immigrati turchi. (Carlo Eugeni)
- Noi siamo abituati a ragionare, il nostro cervello funziona tracciando contorni, quindi parliamo di femmine, maschi, ciechi, sordi, disabili, normali etc… tracciamo dei contorni chiusi. (Maurizio Gaido)
- Il processo di inclusione prevede un modo completamente diverso, prevede che il contorno non sia predefinito, ma il contorno è un contorno che si crea e cambia continuamente, e al contorno partecipano tutti gli elementi del sistema ed è un contorno aperto, non c’è mai nessuno che sta dentro e un altro che è fuori e deve essere incluso. E’ un processo culturale, è una sfida assolutamente interessante e molto grossa questa ed è quello che sta avvenendo un po’ questa mattina. In qualche modo si cerca di aprire questo contorno. (Maurizio Gaido)
- L’inclusione è tutti che si muovono a produrre un contorno che però è aperto, è aperto a tutti, quindi comprende tutti. (Maurizio Gaido)
- L’obiettivo dell’inclusione è quello di fare il mainstreaming, vale a dire diverse necessità che vengono soddisfatte da uno stesso servizio, anche se comunque ci sarà qualcuno che rimarrà scontento. Quindi forse la parola più interessante è il mainstreaming. (Pilar Orero)
- Adesso dirò una cosa poco popolare. Se tutti i disabili si unissero, probabilmente otterrebbero maggiori risultati, perché le persone con impianto cocleare non si parlano con i sordi segnanti, che non si parlano con altre categorie, in questo modo non otterremo mai niente. (Pilar Orero)
- L’accessibilità non è una condizione medica, è una condizione umana (Pilar Orero)
- L’obiettivo della fondazione è quello di fare in modo che sia possibile per le persone con disabilità visiva l’accesso ai libri e agli stessi titoli, con gli stessi formati digitali e quindi con gli stessi standard utilizzati nel mondo editoriale, negli stessi tempi, negli stessi canali e anche con le stesse informazioni bibliografiche e con gli stessi strumenti di lettura che usano tutte le altre persone. (Cristina Mussinelli)
- Il concetto di fondo è quello che dicevo prima: si ragiona su un concetto che è quello del born access publication, pubblicazioni che nascono accessibili a partire dalle fasi iniziali della produzione. (Cristina Mussinelli)
- L’obiettivo finale appunto è quello di avere un sistema integrato in cui siano accessibili i contenuti, ma siano accessibili anche i canali tramite i quali si comprano questi contenuti questi contenuti, e siano accessibili anche i dispositivi e gli strumenti di lettura come le app o i software di lettura che vengono utilizzati. (Cristina Mussinelli)
Sarebbe bello immaginare un mondo accessibile dove gli autori, e penso a tutti gli autori anche di cinema, che vanno certamente tutelati, che possano però essere nelle condizioni di dire: ok, ti dò da subito una liberatoria universale, affinché tutte queste traduzioni siano possibili (Anna Peiretti) - Nulla di quello che rendiamo accessibile è solamente per la disabilità, ma è assolutamente per tutti (Humberto Insolera)
- L’Italia nel 2007 ha firmato questa convenzione e l’ha ratificata nel 2009. Ratificare una convenzione vuole dire prendersi la responsabilità, l’impegno di inserire quanto dettato dalla Convenzione ONU all’interno della legislazione italiana. (Humberto Insolera)
- La Rai è tenuta a fare gare pubbliche. Quindi la sottotitolazione non è considerata all’interno del processo produttivo di un programma. Se così fosse, non avremmo problemi. (Raffaella Cocco)
- E’ la produzione che deve prendersi carico della resa accessibile, non chi poi alla fine deve rendere accessibile un prodotto che accessibile non è. (Daniela Trunfio a proposito di RAI)
- Nasce la lobby per l’accessibilità? Questa domanda la vedremo nel processo che da questo incontro si può generare. (Jacopo Venier)
- E’ stato detto che il prodotto culturale è un processo e non è un prodotto. Anche la notizia è un processo e non è un prodotto. (Jacopo Venier)
- . L’accessibilità è una notizia? Su questo dovremmo interrogarci. Io credo sia una notizia, ma dobbiamo costruire un’accensione di interesse, una sensibilità all’interesse stesso (Jacopo Venier)
- La notizia deve essere trasferita nel minor tempo possibile, costruita e trasferita nel minor tempo possibile, se no non è notizia (Jacopo Venier)
- Allora io dico che non è possibile fare un salto di qualità nell’informazione in rete sul tema dell’accessibilità se non ci sarà una rete che costruisca un’ecologia digitale, un mercato delle informazioni accessibili, un modo di indirizzare anche il flusso della ricerca di informazione tale da rendere sostenibile la produzione di contenuti di informazione accessibili. (Jacopo Venier)
- Allora qui c’è un punto politico, cioè affrontare il tema dell’accessibilità e un tema di uguaglianza digitale. E’ la costruzione di una cittadinanza digitale piena, non può che passare attraverso la rimozione delle barriere, non architettoniche, ma barriere sensoriali che impediscono la piena cittadinanza digitale e quindi la costruzione di una piena democrazia
(Jacopo Venier) - Ci vogliono risorse e ci vuole anche forse… l’agenzia per l’accessibilità digitale che riconosca lo sforzo per l’accessibilità (Jacopo Venier)
- L’accessibilità deve essere rivolta a tutti e quindi l’accessibilità deve cambiare accezione AM
dobbiamo pensare a un’accessibilità che sia essa stessa utenza ampliata, essa stessa progettazione universale (Antonio Giuseppe Malafarina) - La disabilità sta nella condizione di salute di una persona in rapporto all’ambiente E quando questa condizione è sfavorevole crea della disabilità (Antonio Giuseppe Malafarina)
- L’accessibilità ha un suo linguaggio. Il linguaggio non può prescindere da quello della disabilità. Il linguaggio della disabilità deve essere conosciuto (Antonio Giuseppe Malafarina)