Sara M.
Documento bellissimo chiaro e centra in pieno e in modo chiarissimo cosa è in gioco, grazie mille!
Marco G.
Ciao Daniela, leggo, apprezzo e virtualmente sottoscrivo. Ma lo sai vero che è in controtendenza, soprattutto per quanto riguarda la riflessione su una certa bulimia social dalla quale la stessa Fondazione per cui lavoro non è immune… giusto per rimanere in tema di virus e di virali. E mi coinvolge fortemente mio malgrado, per ovvi motivi. Buon proseguimento, nonostante tutto. Marco
Daniela Igliozzi
Questo Manifesto ci viene in soccorso in questo difficile momento citando giustamente il Bene Comune. Ricordiamo a chi tiene le redini che tutto è Bene Comune secondo la Costituzione e che la Cultura è tra le assi portanti dell’edificio Paese. Gli Artisti e gli Operatori Culturali sono chiamati in prima linea per affermare con forza il loro spazio fondamentale nella ricostruzione di un Paese allo stremo. Paese di cui nessuno, è sperabile, vuole vedere il funerale. La Cultura è il mezzo formidabile di circolazione delle idee, e questo fa paura; questo è il vero spauracchio: si è sempre considerata, la Cultura, come qualcosa di inutile, futile e dannosa, sempre sul punto di essere eliminata. Non vorremmo che lo fosse ora, definitivamente. Certo “Con la cultura non si mangia” e detto in un Paese come il nostro è una autentica bestemmia. Con le cartolarizzazioni invece sì, si mangiava. Vogliamo un paese con censura totale e permanente a cui saranno tagliate le corde vocali per non poter più comunicare? Vogliamo diventare tutti esseri acefali, inermi, più facili da manovrare? No, non lo vogliamo. Eliminare la circolazione delle idee attraverso la Cultura è il primo passo per la disgregazione del tessuto sociale. Noi, Cittadini, Artisti, Operatori Culturali non lo vogliamo. Ci riconosciamo in pieno nella frase che un Autore misterioso scolpì sul frontone monumentale del Teatro Massimo Bellini di Palermo perché l’Arte è rivoluzionaria, e la rivoluzione si fa con la mente e con il cuore: “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. Questo Manifesto lo grida a gran voce a chi decide per noi. Ma nel Cura Italia non si fa cenno alla Cultura, se non di striscio. Certo diranno che non ci sono soldi. Tutti i settori piangono lacrime amare. Come dar retta a tutti? Allora aspettiamo fiduciosi che ce li vengano a prelevare dai c/c, specie di colletta a favore di chi a quelle collette partecipa forzatamente, cosa per altro già avvenuta nella storia, o che si taglino le pensioni delle vedove, minaccia già ventilata in altro momento, anch’essa colletta, o che ci si impicchi alle banche, che sappiamo bene cosa combinino? E’ vero che la Storia non insegna mai niente. Ma questo è il momento di ricordare che c’è stato nel mondo un altro Big Crash, al quale per drammaticità non possiamo invidiare nulla. Quello si consumò in un giorno, un martedì di ottobre del 1929, diventato tristemente famoso. Il Black Tuesday. Ma questo nostro, a neanche un secolo di distanza da quello e già caduto nell’oblio, si è annunciato da tempo. Non vorremmo che trascorressero i tre anni di fame e suicidi durante i quali il Presidente Hoover si dimostrò inetto. La Storia si può dimenticare ma insegna. Chiediamo a chi tiene le redini di farsi Condottiero, come lo fu Roosevelt, che attuando la teoria economica di Keynes risolse nel giro di 3 anni le sorti di un intero Continente arrivato alla canna del gas. In senso metaforico s’intende, perché anche quello mancava. Sapeva, Roosevelt, che “la gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature”. Mise mano a una rivoluzionaria riforma fiscale. Fu il New Deal, con massicci investimenti statali per potenziare al massimo la capacità produttiva di tutto il sistema economico. Sarebbe riduttivo chiedere investimenti solo per la Cultura, se arrivassero tanti altri settori rimarrebbero indietro e questo non lo vogliamo: teniamo ben presente il senso di uguaglianza e solidarietà. Quella riforma tributaria, progressiva, era basata sulla introduzione di elevate aliquote per i più ricchi, fino al 75%, e la forte riduzione per le minime. In questo modo lo Stato finanziava la ricostruzione del Paese. Si dette grande impulso all’Arte e alla cultura. Si istituì il Public Works of Arts Project (PWAP) grazie al quale gli Artisti e gli Operatori Culturali presentavano i loro progetti che sarebbero stati finanziati con soldi pubblici secondo il nuovo, grande Welfare State a cui stava a cuore che il mondo sapesse della rinascita dell’America. Grazie a quello molti artisti sono diventati famosi nel mondo, nel campo della pittura per esempio Pollock, Rothko, De Kooning. Tutto è Cultura e chi in qualche modo ci sta dentro si fa paladino di tutti, anche di chi non la pratica in maniera diretta. Per non morire tutti. Chiediamo a chi tiene le redini il New Deal per l’Italia. La strada c’è. Basta applicare l’Art. 53 della Costituzione, che i nostri Costituenti forse scrissero per tenere lontano il pericolo di un Big Crash nostrano, ma che comunque metteva ordine nell’andamento socio-politico-culturale- economico del Paese. Ora lo stiamo vivendo il Big Crash. Chiediamo a chi tiene le redini che si trasformi in grande Condottiero e applichi l’Art. 53 della nostra Costituzione. Anch’esso è basato sulla economia Keynesiana e ricalca la politica di Roosevelt. Sarebbe il nostro Uovo di Colombo. E’ lì, aspetta dal ’48 di essere attuato. Ci vuole solo un po’ di coraggio e di onestà, nient’altro, dimenticando che anche i ricchi e gli straricchi votano. Chiediamo solo di essere ascoltati. E esauditi. Vogliamo vivere. Non morire. Grazie a Daniela Trunfio e a Stefano Pierpaoli che hanno stilato questo Manifesto che ritengo opportuno venga inviato anche alla Presidenza del Consiglio. Daniela Igliozzi
Lorena La Rocca
Cara Daniela, Sapevamo già prima di questo terribile momento che la cultura fosse una dimensione straordinariamente efficace nel creare relazioni, coesione sociale capitale umano. Lo sapevano e lo sanno le Fondazioni e il privato sociale che da anni finanzia e valuta gli impatti di progetti cultural based per l’innovazione sociale, lo sapevano le istituzioni più illuminate che per stare al passo con i cambiamenti hanno adottato progetti culturali e artistici in pianta stabile, lo sapevano i cittadini che hanno cercato e selezionato l’offerta culturale spesso anche svuotando quei luoghi di cultura e arte che non sapevano più parlare del presente.Lo sapeva anche il sociale che, con una moltitudine di percorsi culturali sviluppati nei luoghi di cura, ha visto crescere competenze espressive, relazionali, comportamentali in soggetti fragili. Progetti culturali tentano da anni di creare partnership pubblico/privato per un vera integrazione tra politiche e risorse. Siamo di fronte a un momento così ricco di sperimentazioni capaci di generare nuovo valore sociale e reale impatto sugli stili di vita delle comunità che, se le Politiche pubbliche saranno in grado di sostenere e riconoscere, la cultura come potrà davvero essere una leva straordinaria per la rinascita della nostra società, spaventata, disgregata, lacerata da disuguaglianze e marginalizzazioni. Lorena La Rocca